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Il Premio Tenco 2014 e l’arte della Resistenza

Le Resistenze, Tenco 2014

In una delle sue più belle edizioni, il Club Tenco ribadisce il ruolo privilegiato della cultura e dell’arte per fronteggiare il dramma della crisi globale in cui sembra sprofondare la nostra epoca

E mentre è al lavoro la vasta giuria designata dal Club Tenco affinché decida l’assegnazione delle Targhe 2014 (il premio riservato alla canzone d’autore italiana), ripercorriamo i tre giorni da poco trascorsi (2, 3 e 4 ottobre) del Premio sanremese, un’edizione che non temiamo di definire tra le più dense ed emozionanti degli ultimi dieci anni.
Riconfermando l’idea di un tema che funga da trait d’union tra gli incontri pomeridiani e le serate musicali nel teatro, il direttivo del Club ha dedicato quest’anno la sua attenzione alle Resistenze. “Resistenze” al plurale non a caso, e non solo, perché nella storia del mondo ve ne sono state tante. Una crisi profonda, dai contorni indefiniti e senza più confini, avvolge l’umanità in tutte le sue espressioni: economiche, politiche, culturali, sociali. Mai come oggi appare davvero unificante una sola parola d’ordine: resistere. Il Club Tenco, che si muove nel pianeta cultura e la cui storia ben sintetizza il difficile cammino di chi lo abita, coglie l’occasione dei suoi primi quarant’anni di vita invitando a una riflessione comune.

Le tre giornate si sono così snodate tra i racconti di tante e variegate storie di resistenze d’ogni sorta.

Approfondiremo maggiormente, qui, il versante musicale degli eventi della manifestazione, non senza prima sottolineare, però, che a corollario delle conferenze stampa degli artisti e delle serate teatrali si è data voce e dimora a tante piccole resistenze ed espressioni artistiche. La resistenza de “I dischi del sole”, ad esempio, che attraverso Alabianca caparbiamente continua a documentare la nostra preziosa tradizione popolare; o quella di Giuseppe Gennari con il suo Festival Léo Ferré di San Benedetto del Tronto, sorretto solo con l’amore per il grande cantautore monegasco. Ogni pomeriggio, poi, il Club ha offerto al pubblico la proiezione di un film-documentario: il primo, “Pussy Riot - A punk prayer” sul gruppo che si oppone con coraggio al regime di Putin; il secondo, “Indebito”, di Vinicio Capossela e Andrea Segre, affascinante viaggio nella filosofia del rebetiko in terra di Grecia; il terzo, “Musica contro le mafie. L’alternativa”, testimonianza di quanto sta accadendo dentro il vasto programma in itinere dell’associazione Libera cui anche il Club Tenco ha deciso di affiancarsi. E si è data voce agli abitanti del quartiere Pigna, nella parte storica di Sanremo, che resistono all’emarginazione che la forte immigrazione e il tasso di microcriminalità più alto rispetto alla parte nuova della città li sta facendo subire, e tutti uniti si danno un gran da fare non per liberarsi di scomodi cittadini, bensì per dare loro una mano incentivandone l’integrazione e il lavoro; cosicché il Club Tenco ha allestito tre recital pomeridiani sul tema della resistenza proprio nel cuore di quel quartiere.

Primo giorno

Il resistente che trova per primo accoglienza tra la gente del Tenco è Enzo Del Re, raccontato da Timisoara Pinto nel suo libro “Lavorare con lentezza. Enzo Del Re, il corpofonista” (ed. Squilibri). Era passato di qui anche lui, qualche anno fa, e un commosso Vinicio Capossela si innamorò di lui dal primo momento; una storia straordinaria, quella di quest’uomo di Mola di Bari, passato dal mercato di frutta di suo padre all’incontro con Antonio Infantino, e poi Nanni Ricordi e Dario Fo, ed Enzo Jannacci... Resta sempre poco noto al pubblico e misconosciuto persino a molti colleghi, ma lui resiste alla ricerca del successo e soprattutto all’accelerazione del mondo nel modo più esplicito, facendo cioè della lentezza la sua bandiera di resistente.

Il sipario del Casinò, la sera, si apre in modo non tradizionale per il Premio Tenco, che da sempre ha inzio sulle note di Lontano lontano di Luigi Tenco, di volta in volta interpretata da uno degli artisti ospiti; e invece, a sorpresa, Paola Turci intona Padroni della Terra, inedita versione italiana firmata da Tenco di Le diserteur di Boris Vian. E in effetti è ben più adatta questa, di canzone, perfetta apertura sulle tante storie di resistenza. A partire da quella culturale di cui lo stesso Premio Tenco è espressione: sul palco, attraverso splendide immagini e una voce narrante, scorre la storia che comincia con Amilcare Rambaldi, ribelle ai meccanismi commerciali di un Festival che, seppure lui stesso aveva contribuito a far nascere, stava ora mortificando la qualità della nostra canzone; sarà lui a salvarla, inventando il Festival alternativo che ancora oggi qui, da esattamente quarant’anni, resiste. Ed ecco, altre immagini e altre parole cominciano a raccontare l’opposizione alle dittature comuniste, sovietica e dell’Europa dell’Est, da parte di artisti e cantautori. Comincia così la musica della resistenza: sul palco c’è una “resident band”, composta da Rocco Marchi (pianoforte e chitarra elettrica), Francesca Baccolini (contrabbasso), Guido Baldoni (fisarmonica e pianoforte), Marco Santoro (fagotto e tromba) e Valeria Sturba (violino e theremin) che seguendo gli arrangiamenti di Marchi egregiamente accompagna le canzoni e le storie raccontate in italiano grazie alle traduzioni di Alessio Lega e Sergio Secondiano Sacchi. Gli artisti che si susseguono offrono la loro voce e la loro straordinaria sensibilità interpretativa alle canzoni di altri artisti, esiliati e perseguitati e uccisi, ma fino all’ultimo respiro capaci di non arretrare sulla strada delle battaglie cui dedicarono e dedicano l’esistenza. È ancora Paola Turci che regala al pubblico la sua prima interpretazione, che precede quelle di Eugenio Finardi, Pierpaolo Capovilla, Alessio Lega e Olden con brani di Marta Kubišová, Vladimir Vysotskij, Aleksandr Galič, Karel Kryl, Jaceck Kaczmasrski, Bulat Okudžava: tutte canzoni colme di un pathos difficile da descrivere per la grande intensità, che ben presto riempie e intride la sala. La prima parte della serata si chiude con la consegna, da parte del giornalista Rai Fausto Pellegrini, del primo Premio Tenco 2014 ai Plastic People of the Universe, gruppo resistente e perseguitato nella Praga degli anni Settanta, coraggiosi e fondamentali ispiratori di altre resistenze (come il movimento “Charta 77”) per tutto il corso degli anni Ottanta.

Dopo il breve intervallo, riprende la parola Simone Cristicchi che da sempre dedicala sua attenzione al tema della resistenza, anche lui affrontandolo da lati diversi: canta la guerra di Russia in L’ultima notte degli alpini, una delle tante storie raccontate nel suo spettacolo “Mio nonno è morto in guerra”; canta il doloroso esodo del secondo Dopoguerra seguito alla fredda spartizione del territorio istriano ricordato nel Magazzino 18; e canta, infine, la solitudine della follia in Ti regalerò una rosa, esempio di resistenza intima contro l’isolamento del mondo.

E arriva il momento di parlare di resistenza culturale, un tema drammaticamente attuale e, dispiace sempre constatarlo, particolarmente nel nostro Paese. Ne aveva già parlato a lungo nel pomeriggio, in un discorso che ha commosso i presenti e che Antonio Silva non ha esitato a definire una lectio magistralis, Gianni Minà, prezioso esempio di giornalismo come ormai ce ne sono pochi, ultimi resistenti, appunto, in un magma di informazione e di informatori sempre più marcatamente sudditi più o meno consapevoli del potere economico. Il Premio Tenco per l’Operatore culturale gli viene consegnato dai Modena City Ramblers, eccezionalmente in formazione con Cisco, che intonano infine una trascinante versione di Per i morti di Reggio Emilia di Fausto Amodei, altro fiero resistente della nostra cultura.

Secondo giorno

Nella seconda giornata arrivano dei grandi narratori di altre grandi resistenze: sono i Têtes de Bois, e di storie ne hanno tante nelle loro parole e tra le note delle loro canzoni. Narrano la terribile storia di Giovanni Passannante, anarchico attivo alla fine dell’Ottocento, reo di aver attentato alla vita del re Umberto I di Savoia (infine ferito solo lievemente) e per questo imprigionato a vita e torturato, dileggiato e offeso fino a oltre la sua morte. E cantano Léo Ferré, tra i più grandi cantautori europei (Premio Tenco 1974), nato nel Principato di Monaco e vissuto in Toscana, a Castellina in Chianti, pensatore anarchico nelle canzoni, nella scrittura e nella poesia, e ora protagonista di “Extra”, l’ultima creatura artistica del gruppo romano. Aprono la seconda serata, loro, emozionanti e intensi come sempre, e inaugurano il discorso odierno sulla resistenza portoghese – quarant’anni giusti anche lei, ché è del 1974 la “Rivoluzione dei Garofani” – eseguendo Lisbona quando albeggia di Sérgio Godinho (Premio Tenco 1995). Dopo di loro, la brava cantautrice sarda Claudia Crabuzza interpreta un brano di José “Zeca” Alfonso.
Si canta poi ancora Sérgio Godinho, una canzone che è un capolavoro e non per nulla una delle pochissime di cui si parla anche in conferenza stampa: protagonista è un ex soldato che in guerra aveva assistito e pure si era reso artefice di terribili crudeltà (perché “dietro il color del sangue/il soldato non vacilla”), orrori che rievoca una sera accanto al fuoco con la sua compagna, attraverso delle foto. È Le foto dal fuoco, cantata dal giovane Diodato: una faccia nuova da queste parti, reclutato dal Club Tenco perché si era fatto notare proprio con le sue belle interpretazioni della grande canzone d’autore italiana nella trasmissione di Fabio Fazio “Che tempo che fa”. La sua interpretazione lascia scie di emozione e di meraviglia tra il pubblico, compresi gli addetti ai lavori che non avevano ancora avuto occasione di ascoltarlo, consapevoli dello spessore del brano, così difficile sia tecnicamente, per la complessità melodica, sia per il durissimo contenuto. Fausto è invece interpretato da Chiara Civello, cantante e autrice di cui in conferenza stampa si era fatto cenno all’incredibile curriculum artistico (ha collaborato con nomi del calibro di Al Jarreau, Gilberto Gil e Chico Buarque).
Resterà certo nel cuore dei presenti l’esibizione di Alessio Lega, salito da solo sul palco per cantare Preghiera delle anime incensurate e Ciò di cui l’uomo è capace ma pochi istanti dopo affiancato dal loro autore, il Premio Tenco 2014 José Màrio Branco. Grande è l’entusiasmo di tutti, e non si attenua durante la premiazione e l’esibizione del cantautore portoghese, che afferma di rompere proprio stasera un silenzio lungo due anni, disilluso da questi tempi bui; ma stasera canterà «per il grande onore che mi avete fatto».



L’apertura della seconda parte è affidata alle mani minute di una vecchina, classe 1924: per il mondo fu “la ragazza con la fisarmonica”, questa piccola donna dalla voce tonda e salda a dispetto dell’età, da quando ad Auschwitz lei, pianista, si dichiarò – mentendo – fisarmonicista, perché questo le avrebbe salvato la vita. Aveva raccontato la sua storia nel pomeriggio in conferenza stampa, Esther Béjarano, e aveva fatto tremare le gambe a tutti con la rievocazione di quegli attimi in cui avrebbe dovuto confermare la sua bugia per la vita, «Sì, so suonare anche la fisarmonica, e sì, posso eseguire quel motivetto di successo che mi chiedete, Bel Ami, ma lo devo provare un momento, ché è da tanto che non suono...». Un miracolo, dice lei, aver trovato gli accordi, in una manciata di minuti gonfi di angoscia, in quella foresta di tasti in cui non aveva mai affondato le dita. Un miracolo, ora, averla sul palco del Tenco a cantare la sua grande voglia di vivere.
Il finale della serata è tutta per lui, l’ex ragazzino prodigio che da quasi venticinque anni, ormai, frequenta il Premio Tenco, fiore all’occhiello del Club («Ce lo siamo cresciuto», ama ripetere il “bravo presentatore” Silva): Vinicio Capossela. E ci sta sempre bene qui, il cantautore di Calitri, con le sue tante sfaccettature artistiche e le sue continue ricerche musicali e umane: negli ultimi anni, per esempio, Capossela è arrivato a esplorare la musica greca approfondendo quel particolare genere che è il “rebetiko”, espressione musicale di resistenza della comunità greca e della sua cultura alle influenze della Turchia che li accolse fino alla guerra del 1919. Per il pubblico di Sanremo si esibisce con due musicisti greci, cantando brani “trasformati” in stile rebetiko, tra cui la sua splendida Scivola vai via, e Quello che non ho di Fabrizio de André e Massimo Bubola; solo alla fine recupera il suo vecchio stile pianoforte e voce per intonare l’affascinante Rosamunda, che calza come un guanto, questa sera, alla presenza di Esther Béjarano, con il suo sapore misto dell’orrore di Aushwitz e insieme della speranza di vita che solo la musica sa offrire: “Suona la banda prigioniera...”.

Terzo giorno

Nell’ultima conferenza stampa si parla di una storia di resistenza del tutto straordinaria, quella della giovane cantautrice aversana Bianca d’Aponte e di suo padre Gaetano, il quale, a pochi mesi dall’improvvisa scomparsa della figlia, consapevole dello straordinario talento di Bianca e con la ferma intenzione di non sopravviverle, istituisce il Premio a lei intitolato e lo riserva alla canzone d’autore al femminile. Cresciuto anno dopo anno in prestigio e giunto alla decima edizione, il Premio Bianca d’Aponte approda ora a Barcellona per iniziativa dello stesso Club Tenco, o per la precisione della sua “costola” catalana fondata da Sergio Sacchi “Cose di Amilcare”. In Spagna, Claudia Crabuzza canterà la struggente Ninna nanna alla mia mamma tradotta da lei stessa in catalano, che fa ascoltare in anteprima al pubblico presente, accompagnata dalla chitarra di Enric Hernàez.

La terza e ultima serata è aperta dalla Scraps Orchestra, come di consueto avvolgente con le sue composizioni musicali e le sue storie vicine al tema della manifestazione: come La verità, nient’altro che quella, sul resistente Nicola Bombacci amico di Mussolini, o La staffetta, dedicata alle donne della Resistenza. In quest’ultima carrellata di artisti troviamo pure la coppia Dente-Brunori Sas che si cimenta con due canzoni di Joe Hill, cantautore e sindacalista negli anni più difficili dell’immigrazione statunitense, morto per fucilazione nel 1915 in una prigione dell’Utha, meno celebrato di coloro che vennero dopo di lui, ma invero capostipite di quel filone folk che fu poi di Woody Guthrie e dopo ancora di Bob Dylan. Sale quindi sul palco Enric Hernàez, autore della versione catalana e della musica di un testo di Hill, “Joe Hill’s last will”, e apre la strada a un altro Premio Tenco 2014, John Trudell. Di padre Sioux e madre messicana, Trudell, dopo la tragica fine della sua famiglia - i tre figli, la moglie in attesa di un bimbo e la suocera - in un incendio di origini quanto meno sospette, giacché avvenuto a poche ore dal suo arresto per aver dato fuoco alla bandiera americana di fronte alla sede dell’Fbi, sembra dapprima morire dentro anche lui; e invece resiste, John; resiste, e comincia a scrivere versi, e poi ad accompagnarli alla musica con l’aiuto e lo stimolo dell’amico Jackson Brown. È il suo modo per guarire, ma anche per non tacere. Bella e suggestiva la sua esibizione, una sorta di reading poetico con sonorità a cavallo tra i più moderni strumenti e ataviche ed evocative grida, canti lontani nel tempo e nella storia dei nativi americani.

Nella seconda parte alleggerisce il clima, pur parlando del senso della resistenza in un mondo che lui considera di fatto in guerra, David Riondino (molti lo ricorderanno, fra l'altro, vicino al satirico “settimanale di resistenza umana”, Cuore). Lui riempie la sala di risate liberatorie con le esilaranti Riformare il diritto di famiglia, L’acrostico Renzi e gli ormai classici “canti alpini”.
A chiudere la tre giorni sale infine sul palco l’ultimo Premio Tenco di quest’anno, Maria Farantouri, la più grande cantante greca, interprete prediletta di Theodorakis. Lei, emblema di una resistenza alla dittatura pagata con l’esilio, tra parole e canti con la sua voce profonda e stentorea racconta ciò che sta accadendo nel suo Paese dal punto di vista culturale; un Paese che nonostante la totale mancanza di denaro sta cercando faticosamente, ma con determinazione, una strada per la propria rinascita.

Le parole finali pronunciate da Antonio Silva sono le consuete: «Si chiude il sipario sulla trentottesima edizione del Premio Tenco». Una straordinaria edizione però, aggiungiamo noi, e necessaria anche, in questi tempi difficili, per rinvigorire la fiducia e restituire forza ai nuovi resistenti di nuove e inedite guerre; e per ribadire ancora una volta che l’arte in ogni sua espressione e latitudine è sempre stata e rimane oggi lo scudo più solido, virtuoso e unificante di ogni Resistenza.

(Foto di Marina Mazzoli, Manuel Garibaldi, Fabrizio Fenucci, Giorgio Bulgarelli, Renzo Chiesa)


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