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L’autoritratto in pittura di cantanti e cantautori italiani

Non di sola musica vive un cantante

Sempre di più gli artisti musicali amano cimentarsi anche con tavolozze e colori. Tra le varie tecniche, quella dell’autoritratto è quella che ci ha incuriosito di più.

Roberto Vecchioni, Alberto Fortis, Gino Paoli, Don Backy, Francesco Renga, Danilo Sacco, Tony Dallara tra gli uomini; Syria, Andrea Mirò, Arisa, Amanda Lear, L’Aura, Romina Power, tra le donne, sono solo alcuni/e tra cantanti e cantautori che si dedicano all'arte figurativa, in particolare al disegno, alla grafica e alla pittura. Alcuni iniziano già prima della musica, altri mantengono l'hobby (o di rado la professione) in parallelo agli exploit mediatici o concertistici; altri ancora approdano a tela e pennelli solo dopo il successo nel mondo delle sette note, come fiore all'occhiello di una carriera “espressiva” che spesso, per molti, sfocia anche in ulteriori settori, spaziando dalla scrittura di poesie e romanzi alla recitazione nel cinema o a teatro. Per non parlare di fumetto, regia, televisione, fotografia in qualità di soggetti/oggetti di performance talvolta brillantissime.

Tuttavia guardando i quadri e i disegni dei musicisti italiani è raro trovare un genere pittorico che invece risulta assai ben “frequentato” dai colleghi britannici e statunitensi: l'autoritratto. Dipingere se stessi è quasi un obbligo morale o un scelta convinta per le stelle del pop e del rock d'Oltremanica e d'Oltreoceano, mentre per i divi dello Stivale che abbondano in opere figurative, il self-portrait resta invece un mistero, un tabù e una scelta...mancata. Tuttavia i rari casi di autoritratti di cantanti  e cantautori nostrani non hanno nulla da invidiare a quelli blasonati dei colleghi internazionali. Ma prima di analizzarne le ragioni occorre capire cosa sia l'autoritratto del musicista. Ben presto la canzone italiana diventa un simbolo aperto, una forma di spettacolo, una comunicazione mediatica, uno stile di vita che si rapporta anche con molte altre discipline estetiche: dal vestiario alla scenografia, dal trucco al merchandising, dalla poesia al videoclip. Spesso è il musicista rock a occuparsi in prima persona di queste funzioni che la semiotica definisce di paratesto, ma che nel rock diventano parte integrante di un linguaggio pluristratificato di ascendenza teatrale: ad esempio Giorgio Gaber e Renato Zero, pur molto diversi uno dall'altro, tra gli anni Sessanta e Ottanta – il primo con il teatro-canzone, il secondo mediante concerti glam - curano ogni elemento live extra-musicale che diventa parte integrante della propria ricerca inventiva.

A un certo punto i musicisti stessi diventano pittori, non tanto per aspirare a maggior notorietà (oggettivamente inferiore in ambito artistico rispetto allo show business), quanto piuttosto per ambire a una maggiore considerazione sul piano culturale: l'equazione quadro/museo è ancora più forte, nell'aura culturale, rispetto alla folla di un megaraduno. Inoltre diversi cantanti o cantautori (Ivan Cattaneo su tutti) frequentano da adolescenti e con profitto gli istituti d'arte, che si rivelano luoghi deputati (assai più dei conservatori) a reclutare sempre giovani suonatori per band e affini. Il debutto in pubblico come pittori avviene di solito a carriera inoltrata, quale ultimo anello di una lunga catena di successi popolari, alla stregua di un'auto-gratificazione per mettere in risalto qualità creative altalenanti dall'hobby di lusso alla ricerca insistita di un consenso accademico, che molti ricercano in ambiti ulteriori, dal cinema alla letteratura.

Tra i dipinti dei musicisti prevale il genere del ritratto che in superficie potrebbe apparire una facile scorciatoia, mentre in realtà tanto nel rispetto dei canoni accademici quanto nel dirigersi verso le avanguardie, resta un modo di dipingere anche più difficoltoso rispetto ad esempio alle marine o alle nature morte. Il ritratto, come genere pittorico - dalle tradizioni che si perdono nella notte dei tempi - possiede una logica e una coerenza che resiste persino alla tabula rasa delle prime e seconde avanguardie. E a maggior ragione, presso cantanti e cantautori aventi quasi tutti una base accademica e una matrice classicheggiante (nonostante buoni aggiornamenti sui gusti moderni), il ritratto si conferma assai congeniale per esternare il proprio ego. Ma sorprendentemente non si tratta di ritratti narcisistici o autocelebrativi, anzi denotano al contrario una profonda autoanalisi in cui il dipinto del proprio volto si legge appunto quale descrizione psicologica che prende coscienza del sé, svelando una gamma di sentimenti variegatissima dall'autostima alla problematicità: l'autoritratto del cantante o cantautore è de facto una maschera nuda pirandelliana.

A livello stilistico i pochi nomi di cantanti e cantautori che dipingono se stessi rispecchiano - forse autobiograficamente - il proprio romantico maledettismo con quello forse più intenso e pregnante di molti pittori ribelli otto-novecenteschi, dai bohèmiens ai maudits: un'epoca che vede protagonisti scrittori 'alternativi' da Beaudelaire a Rimbaud, non a caso idolatrati dal mondo del rock. Lo stile dunque è debitore - allorché va oltre l'autoritratto per dipingere gruppi e colleghi oppure paesaggi urbani - tanto dei realismi quanto delle varie scuole espressioniste, con qualche addentellato a forme e contenuti dei surrealisti o dei più recenti pop-artists. A voi l'onore e il gusto di scoprire gli autoritratti di Paolo Conte, Franco Battiato, Augusto Daolio, Jovanotti, che dunque ritraggono se stessi in maniere autorevoli, originali, convincenti.




 


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