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Un'edizione di alto valore musicale che non dipana tutte le polemiche, ma di certo aiuta a risolverle

Premio Tenco 2021, cronaca di un successo non scontato

Quando la grammatica non è un'opinione.

 

Chiusa la 44ª edizione del Premio Tenco è doveroso farne un resoconto, perché quella del 2021 è un’edizione spartiacque di cui vale la pena raccontare luci (molte) e ombre (poche, ma fitte). Una riflessione che vuole essere oggettiva, almeno nelle intenzioni, quindi scevra da pre-giudizi, nel senso che ormai il giudizio sulla rassegna viene dato ancor prima di vederla, anche se non è certo una novità visto che questo avviene da almeno vent’anni. Una pratica che si è accentuata con la crescente potenza mediatica assunta dai social, dove ognuno (ma davvero il termine ognuno corrisponde alla realtà) si sente deputato a santificare o demonizzare questo o quell’artista, questa o quella scelta e via di questo passo.
Quasi sempre i giudizi che si muovono nel “Simposio di casa Zuckerberg” vertono sulle Targhe Tenco (dimenticando spesso che sono assegnate da una folta giuria di addetti ai lavori), i Premi Tenco (questi sì, scelti direttamente dal direttivo del Club, quest’anno un po’ troppi a dire il vero, ma questo non c’entra) o su alcune Nuove Proposte a cui viene dato spazio (da qualche anno prese direttamente anche del TencoAscolta, serate live che si svolgono in giro per l’Italia). Ecco, sarebbe bello che tutti quelli che hanno sentenziato prima potessero dare ora il loro giudizio. E mi riferisco soprattutto a quelli che la rassegna l’hanno vissuta e non certo a quelli che ne hanno solo sentito parlare.



 

Diciamo che “artisticamente” l’edizione 2021 è stata bella, giusto per entrare subito in sintonia con il titolo di quest’anno che recitava appunto “Una canzone senza aggettivi”, riconducendo tutto ad un bello/brutto di cui parleremo dopo. Non farò l’elenco cronologico del programma e degli ospiti passati dall’Ariston, dalla Sede del Club (tra l’altro risistemata e messa a nuovo con spazi di consultazione che meritano da soli una visita) e degli eventi in Pigna - il centro storico di Sanremo che ormai è diventato un luogo vivissimo con appuntamenti specifici e artisti che preparano live ad hoc per l’occasione - dico solo che sono stati giorni intensi e voglio segnalare i momenti che più mi hanno colpito.

Partirei con la performance di Enrico Ruggeri, la splendida mezzora di Fiorella Mannoia e Danilo Rea (un gigante), la voce, i brani e i musicisti di Bersani, la competenza e la capacità comunicativa di Steven Forti negli incontri pomeridiani, la simpatia di Alberto Patrucco (accompagnato da Sighanda, artista vincitrice del Bianca d’Aponte 2016), Vittorio De Scalzi che riceve un Premio alla carriera, l’energia contagiosa del 90enne Gianni Coscia (da 10 la sua versione di Emozioni), l’atmosfera semi-mistica creata dai F.lli Mancuso, forse un po’ troppo lungo il loro set, ma ricco di pathos. E poi ancora i dopo-Tenco con Alessandro D’Alessandro e il suo organetto ad accompagnare – artisti e giornalisti – nei canti di lotta con lo stesso impegno con cui saltellava con Romagna mia.

 

Vanno ricordati i momenti internazionali, tra cui spicca quello del rapper ungherese Áron Molnár (premio Yorum) e quello brasileiro di Marisa Monte e Jorge Drexel, così come la freschezza di Senza_Cri con il suo rap o il virtuosismo di Simona Colonna al violoncello che con Ambra Pintore ridisegnano una suggestiva Pensieri e parole. C'è il siparietto di Bisio e Bollani da consegnare agli annali, il sentirsi felice nel vedere un quartetto d’archi - le Note Libere - composto da giovanissimi musicisti fare da spalla in molti brani, conoscere Giovanna Botteri, vedere uno di fianco all’altro Franco Zanetti, Massimo Cotto e Ruggeri che parlano di musica ai ragazzi di Area Sanremo al Palafiori.

 

E come dimenticare il sorriso di Carlo Mercadante che non nasconde la sua (giusta) soddisfazione mentre riceve la Targa per il progetto su Rino Gaetano di Isola Tobia? Ci aggiungo anche l’aver conosciuto Fausto Amodei e aver visto il suo abbraccio sincero con Staino, il vento d’Abruzzo portato da Setak e Mimmo Locasciulli, così come quello che Peppe Voltarelli ha portato dal mondo intero con il suo ‘Planetario’ e infine la verve e la tenacia di Antonio Silva che lo trovi ovunque, in un continuo mix di professionalità ed ironia senza sosta che non dà segni di cedimento (ovvero, Morgan prendi appunti).

 

Ma se dovessi scegliere un solo nome allora direi Lucio Corsi. Chitarra acustica e elettrica tra le mani ha gestito il suo set in maniera autorevole, aggiungendo la cover Ho un anno di più di Battisti e portandola in un territorio rock, dove insieme ai suoi cinque musicisti ha/hanno dimostrato spessore e spregiudicatezza. Anni di gavetta live si vedono, si sentono, e a un appuntamento così importante Lucio (nella foto qui sotto e in quella di apertura) ci è arrivato carico e convinto di poter coinvolgere un pubblico per certi versi “nuovo”. Operazione riuscita, anche perché l’ovazione che l’Ariston gli ha tributato è lì a dimostrarlo.

 

E a proposito di applausi prolungati non posso non sottolineare la standing ovation riservata a Mogol, Premio Tenco 2021 per l’Operatore Culturale italiano (quello internazionale è andato a Pere Camps, una sorta di Amilcare Rambaldi catalano che 25 anni fa ha fondato il BarbaSants, Festival molto simile al Tenco). Una scelta forte quella del Direttivo del Tenco su Mogol.
Dico subito che non mi ha sorpreso affatto, anche perché ritengo Mogol uno degli snodi cruciali per la crescita e la maggiore autorevolezza ottenuta dalla canzone “popolare” italiana dagli anni Sessanta in poi, un chirurgo dei sentimenti che ha scritto decine e decine di capolavori in cui ritrovarsi e riconoscersi. Spesso commuovendosi. Non solo con Battisti, anche se è con lui che ha raggiunto il suo apice. La distanza poi tra “uomo” e “artista” ha avuto modo di evidenziarsi anche in questi giorni di rassegna per alcune uscite infelici, forse ingigantite (perché troppo assurde per essere vere) per cui la chiudo dicendo che la Storia è piena di artisti - pittori, atleti, cantanti, scrittori, attori, registi… - che hanno fatto cose encomiabili pur avendo, mettiamola così,  un carattere difficile ed egocentrico.

Diciamo che se il titolo di questa edizione - Una canzone senza aggettivi - aveva bisogno di un segno tangibile, premiare Mogol è stata la scelta più potente e precisa che si poteva fare. È lui che rappresenta il trait d’union più autorevole per cementare la tesi di Sacchi, Staino e soci vari riguardo la caduta del recinto, a loro dire, in cui si sono sentiti stretti in questi ultimi decenni (attenzione, non ultimi anni ma ultimi decenni…) e che era rappresentato dal termine “canzone d’autore”. Bene quindi hanno fatto ad invitarlo. Della serie se fai trenta devi fare trentuno, cioè se lanci il sasso non devi poi tirare indietro la mano. E così è stato fatto.

 

Il punto però è un altro.
Logica vuole che scegliere un titolo come quello, così tranchant, vada prima spiegato, motivato e poi condiviso. Anzi, tolgo il congiuntivo e dico che deve essere spiegato, motivato per essere a sua volta condiviso. L’ombra a cui mi riferivo all’inizio è proprio questa. Ed è oggettivamente scura.
Il Direttivo ha scelto una strada diversa, bypassando un confronto che da anni in molti chiedono (noi stessi come testata lo abbiamo chiesto almeno cinque anni fa). Manca una riflessione seria e pacata su cosa sia oggi il termine “canzone d’autore” prima di celebrarne il funerale. Sappiamo che non è un ‘genere’ musicale in senso stretto, ok, ma se chiedi oggi che cosa sia effettivamente le risposte ti portano nel labirinto di Cnosso. Peccato però che manchi una moderna Arianna a porgerti un filo.

Ecco perché il suo significato, almeno dagli anni Novanta, viene tirato per la giacchetta, lacerato, ricucito e messo a nuovo per poi essere indossato da chi ritiene di avere la verità in tasca. E così ci siamo trovati pseudo-talebani che vorrebbero fosse ancora quello di metà anni Settanta e messaggeri del Dio della Musica che troverebbero normale invitare alla rassegna tutto e il contrario di tutto purché siano ‘bravi’, perché appunto “canzone d’autore” può essere anche…

Sto esagerando? Forse, ma certo è che un titolo come “Una canzone senza aggettivi” porta davvero ad una confusione che può essere risolta solo con un confronto, che parta magari prima dai soci del Club Tenco (e non solo dal Direttivo) e che subito dopo possa allargarsi ad artisti e addetti ai lavori, così da arrivare ad una qualsivoglia sintesi. Ridurre tutta la produzione musicale nelle caselle “bella” o “brutta” è un’operazione che non mi convince. E non è una questione solo di grammatica. Una riflessione aperta e condivisa doveva partire proprio dal Club Tenco, non poteva partire da nessuno altro. 

 

Come ho già scritto da altre parti, portare alla rassegna del 1995 Jovanotti è stato quasi un trauma (anche tra molti artisti, operatori, pubblico). Per me - e molti altri operatori, artisti, gente comune - invece è stato un segnale di apertura importante. Attenzione, non parliamo di un invito quasi “obbligato” per aver vinto una Targa, ma bensì di precise scelte del Direttivo. Aggiungo che nel ’96 arrivano i Casino Royale, l’anno dopo Frankie Hi-Nrg, i Tenores di Neoneli, NegritaEnrico Rava (mondi diametralmente opposti e ben lontani da una sorta di “canzone d’autore” classica, no?). Potremmo andare avanti con Ustmamò chiamati nel ’93, CSI, Diaframma, BMS nel ’94, i 99Posse nel 2000 e tre anni dopo Sud Sound System, Caparezza nel 2004, Iosonouncane 2011, Giovanni Truppi 2015, Roy Paci nel 2016.
E qui mi fermo.

Cosa ho voluto dire con questo lungo e variegato elenco?
Semplice, che fino al 2016 il Club Tenco, attraverso il Direttivo ma in particolar modo con la direzione artistica (prima di Rambaldi, poi dal ’96 passata ad Enrico de Angelis) ha fatto cultura musicale portando in rassegna anche artisti più periferici rispetto al concetto dominante di “canzone d’autore”. Ecco perché dico che bisognava iniziare anni fa a seminare il germe positivo della contaminazione argomentando meglio queste scelte, ed invece pian piano sono cresciute le divergenze, le scuole di pensiero, il gioco al massacro del “manca questo, manca quello e portano quell’altro”. Due a quel punto le strade possibili: fidarsi di quel che proponeva il Tenco o allontanarsene per evidente dicotomia con il Tenco-pensiero dei primi anni, così come non va dimenticato il distacco e l’interesse verso la rassegna da parte di chi riteneva che le novità più valide e interessanti sul territorio venissero regolarmente ignorate.

Insomma, una bella gatta da pelare quando bisognava allestire il programma della nuova edizione. Ma la qualità paga sempre e ogni volta i plausi per le scelte fatte erano maggiori dei dissensi. Quando però cinque anni fa esce di scena Enrico de Angelis tutto questo implode.
E qui mi fermo per la seconda volta.
Lascio infatti ad ognuno la ricostruzione di cosa siano stati questi ultimi anni in termini di violenze verbali, invettive contro l’apertura a nuovi artisti (sempre periferici come prima, ma chissà perché per alcuni questa volta erano ‘troppo’ periferici), accuse e controaccuse, chiusure a riccio da parte del nuovo direttivo, insinuazioni di bassa lega dalla controparte che generavano fake news e via dicendo. Torna utile ricordare la parabola della trave e della pagliuzza nell’occhio, così ognuno assegnerà i ruoli a chi crede.

Ma tornando al punto, questo confronto non può più essere ignorato e più che cimentarsi a mettere artisti e canzoni nelle caselle “bello/brutto” (ognuno lo farebbe a suo insindacabile giudizio, ovvio) sarebbe utile capire come sia cambiata la canzone d’autore oggi (ma anche quella di ieri e l’altro ieri), di come provare a ridisegnarne i confini, certamente allargati, rispetto alla visione iniziale di quel lungimirante “venditore di fiori” che insieme a quattro amici (non al bar ma dietro un tavolo su cui c’erano dischi e musicassette…) hanno fatto nascere un meraviglioso percorso condiviso ma che ora presenta troppi bivi.

 

Invitiamo quindi - ancora una volta - il Club Tenco a organizzare una, due giornate di confronto aperto per discutere su questo tema (non due ore scarse tra giovedì e sabato come quest’anno), invitando operatori del settore e artisti ad una riflessione comune che non potrà che fare bene a tutti.

In caso contrario l’iniziativa la faremo partire noi come testata, nei primi mesi del nuovo anno, a Milano o a Roma. Chi scrive ha sempre cercato – con i fatti e attraverso la rivista L’Isola che non c’era – di allargare quel 'recinto', mai di abbatterlo, così come ha sempre combattuto chi voleva mettere una nuova serratura, doppia mandata, all’ingresso.

Quel sottotitolo che da sempre campeggia nel logo del Premio, “rassegna della canzone d’autore”, credo che possa e debba rimanere. Ma per farlo ne va ridefinito il senso profondo. Delle due l’una: o si arriva insieme ad una nuova ridefinizione oppure che lo si tolga del tutto.
Io e L’Isola ci batteremo per la prima.

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Per le foto si ringraziano tutti i fotografi, che pur tra mille difficoltà (fare quasi tutte le foto da circa 30 metri, in galleria, non è una cosa semplice) hanno svolto un grande lavoro, dando così la possibilità a tutti di cogliere in uno scatto le immagini e le emozioni di questo Tenco 2021. Dove possibile abbiamo lasciato i riferimenti, ma qui sotto trovate comunque i nomi da cui abbiamo attinto per corredare l’articolo (eccezion fatta per la foto di Jovanotti). Vi invitiamo ad andare sui loro profili per cogliere ancora meglio il frutto di tanto impegno e passione.

 

Renzo Chiesa
https://www.facebook.com/renzo.chiesa/photos

Mauro Vigorosi
https://www.facebook.com/mauro.vigorosi

Giuseppe Verrini
https://www.facebook.com/search/top?q=giuseppe%20verrini%20photography

Manuel Garibaldi
https://www.facebook.com/gottodivino

Raffaella Vismara
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Angela Perri
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Sara Fantozzi
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Roberto Molteni

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