Uross
Sembra davvero che molte fra le giovani band italiane abbiano ricominciato ad “abbeverarsi” presso le inesauribili fonti anglofone, soprattutto quelle a cavallo fra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’90; non più, dunque, il timore di confrontarsi con i cosiddetti “dinosauri” del rock, e neppure la preoccupazione di suonare “vecchi” agli orecchi degli ascoltatori, ma la consapevolezza che gli input, soprattutto strumentali, che si possono assorbire e rielaborare, sono ancora molti, validi e ricchi di attrattiva.
Il progetto pugliese Uross, dopo tre mini-album autoprodotti, giunge infine al primo lavoro ufficiale; 29 Febbraio (Lo Squilibrista) allinea dieci tracce dal sapore “antico” ed arricchite da testi molto legati all’oggi, alla vita comune, alle sensazioni personali, pervase da una sorta di “cupezza” di fondo, (più simile allo spleen che non alla malinconia vera e propria), indice più di un certo malessere che non di una disillusione vera e propria, e quindi pronta, magari, a divenire speranza, se possibile.
Aleggia, sullo sfondo, una marcata attitudine grunge, grazie alle chitarre “grasse” e ricche di eco, ad una sezione ritmica dai suoni ovattati, pieni, che supportano la voce sofferta, indolente, a tratti dolorosa ed irregolare; sotto traccia, ma di non poco conto, il lavoro del pianoforte e delle tastiere, mai in prima linea, ma quanto mai necessari a “legare” l’insieme, mentre la tromba si inserisce, occasionalmente, creando delle interessanti atmosfere quasi jazzate, per poi scomparire all’improvviso.
Non difficile, come detto, leggere fra le note le fonti di ispirazione della band, ma c’è di estremamente positivo il fatto che la cifra stilistica complessiva non appare e non è assolutamente derivativa; ispirazione dunque, si diceva, ma non riproposizione pedissequa di qualcosa di “già sentito”: gli Uross ci mettono, e molto, del loro, per cui brani come Ormai andato potrebbero essere definiti genericamente folk, ma non suonano assolutamente come quelli “tradizionali”, che ci si aspetterebbe vista l’origine geografica della band.
La via italiana al “rock d’autore”, stante la base comune, pare avere sviluppato inclinazioni diverse, come se il “grande fiume” iniziale si stia man mano frazionando in numerosi piccoli rivoli, ognuno portatore di precise e definite caratteristiche; e la lingua italiana, da sempre succube dell’inglese nell’ambito del rock, salvo rare eccezioni, potrebbe davvero avere davanti a sé un futuro interessante e di livello.
Certo occorre dire che, perché questo fenomeno da tendenza diventi direzione precisa, occorre che, in band come gli Uross, credano ed investano, non solo tempo ma anche risorse, anche coloro che, specie in questi ultimi dieci anni, si sono limitati ad “andare sul sicuro”, spesso a discapito della qualità; altrimenti, per carità, i risultati arriveranno, ma ci vorrà molto, molto più tempo…
01 Amaro
02 L’urlo
03 Psychoman
04 La canzone di Natale (anche quando Natale non è)
05 Godot
06 Ormai andato
07 Un tipo chiamato Destino
08 Sciarrabball
09 Avevo uno snake
10 L’Eternauta
Uross: voci, chitarre, banjo, glockenspiel Fashion: basso Andrea B.: pianoforte, tastiere FredFallo: batteria Andrea Acquaviva: chitarra Giorgio Distante: tromba