Il Muro del Canto
È un'appartenenza chiara e indiscutibile quella de Il Muro del Canto alla città eterna. Ma è un “sentirsi parte” tutt'altro che acritico, è fierezza, malinconia, orgoglio, e ferite dolenti.
Sì, il Muro del Canto è un complesso (una band, un gruppo) romano, e che in romanesco scrive e canta. Superfluo perciò dire che da ogni verso trasuda Roma, quella della tradizione pasoliniana, della borgata, che allunga la mano verso quella caotica, disperata e un po’ sbruffona di oggi; e che ai dodici brani dell’album fanno quindi da tappeto gli ultimi cinquant’anni di immagini con cui gli occhi dei registi, le penne degli scrittori e le mani di artisti vari hanno raccontato le meraviglie così come le nefandezze di questa città.
È passato un anno dal precedente lavoro, L’ammazzasette (uscito sempre per Goodfellas), e si sente. Quello era il buon primo album di una band emergente, una di quelle che inizia a vincere concorsi cittadini (ricordiamo il Premio Stefano Rosso come Miglior arrangiamento), a suonare nei festival estivi della zona, il cui nome comincia a girare tra amici e addetti ai lavori. Questo, invece, è un disco che indica una strada (come dovrebbero fare tutti i secondi album). Una strada capace di mescolare e tenere insieme lo spunto cantautorale che è l’anima del gruppo, con un approccio più ruvido alla composizione; insomma in Ancora ridi l'intreccio narrativo viene dipanato da chitarre rock, con spruzzi di western mood e un suono folk che bussa con forza alla porta.
Tre brani possono essere presi ad elementi cardine del disco, tre vertici di un triangolo che racchiude tutto il resto: Il canto degli affamati, Palazzinari e la cover E intanto er sole se nasconne. Quest’ultimo, un brano dell’indimenticato cantastorie romano Stefano Rosso, è un filo, forte e teso, che lega l'esperienza del Muro al mondo dei cantautori. È la tradizione, il passato, lo sguardo rivolto a chi li ha preceduti, e il brano rivive nel loro arrangiamento moderno e personale grazie anche all’uso del dialetto e alla valida interpretazione di Daniele Coccia con la sua voce pastosa e coinvolgente.
Il canto degli affamati, la traccia del disco più “radiofonica” (splendido il motivo trascinante della fisarmonica, ottimo il ritornello), mescola ironia e miseria, la miseria della fame, del niente, della povertà, raccontata con il sarcasmo e l'irriverenza come quelli di un attuale Marchese del Grillo.
E Palazzinari, infine, è un squarcio neorealista, un racconto nella voce narrante di Alessandro Pieravanti (anche ne Er funerale) che descrive una città che non c'è più, nostalgia di paesaggi che non possono tornare e critica arrabbiata a personaggi odierni che sembrano avere in mano il destino di Roma.
Questi tre brani tengono insieme una tradizione musicale che funge da fondamenta su cui tutto si poggia, un suono sporco ma diretto che è l'impalcatura attorno alla quale l'album è costruito, e la capacità di racconto, di narrazione, che riempie pienamente ogni “stanza” di questo lavoro.
Umanesimo di lotta e anticlericalismo, mischiati ad un verismo senza filtri, a raccontare le crisi odierne (sociale, culturale, economica) e tutto lo “sporco” che ne deriva. La fame vera, l’oscuro e il buio in cui si cade, la maledizione più urlata, l’ironia (anche nella morte), la sofferenza che si porta dietro l’orgoglio, le piccole miserie. E l’amore, appassionato, malato, che redime, e che sotterra.
È il racconto di questo nostro tempo malandato, che dagli angoli bui di Roma parte ma che proprio la città eterna abbandona nell’ultimo brano (Arrivederci Roma) per farsi canto di storie universali, si fa forza nel sound ruvido, perfetto per la voce di Daniele Coccia. L’ospitata del violino di Andrea Ruggiero (Operaja Criminale) si lega alla perfezione allo spirito dell’album, anzi diventa il collante tra le percussioni di Alessandro Pieravanti, le chitarre di Barbati e Caldironi, il basso nelle mani di Ludovico Lamarra e la fisarmonica di Alessandro Marinelli. Il resto (un gran bel resto) lo fa il mix di Tommaso Colliva (Afterhours, Muse, Calibro35).
01. Ancora ridi
02. Maleficio
03. Il canto degli affamati
04. Intanto er sole se nasconne
05. Peste e corna
06. Palazzinari
07. L’Osteria dei frati
08. Canzone allagata
09. Strade da dimenticà
10. Er funerale
11. Lacrima metà
12. Arrivederci Roma
Daniele Coccia: voce, testi - Alessandro Pieravanti: percussioni, batteria, voce narrante - Ludovico Lamarra: basso - Eric Caldironi: chitarra acustica, pianoforte - Giancarlo Barbati: chitarra elettrica, cori - Alessandro Marinelli: fisarmonica - Andrea Ruggiero: violino