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Katres

Araba fenice

Il secondo album di Katres, fin nell’anima folk dei suoi arrangiamenti fascinosamente elettroacustici, ha il sapore del viaggio, il peso e la leggerezza della polvere che ci si scrolla di dosso, intraprendendo un viaggio del tutto personale, un percorso di morte e rinascita sulle orme e le piume della leggendaria araba fenice pronta a rinascere dalle proprie ceneri. Questo cammino non ha solo una direzione orizzontale; anzi, in Sei si libra verso l’alto per “perdersi e ritrovarsi al centro / di un caos cosmico a danzare senza gravità” con un “tu” che appartiene a un altro pianeta e, anziché ancorare la protagonista alla terra, l’aiuta a volare in una “fusione planetaria / in mezzo a un universo di possibilità”. Al di là dell’ordine, delle strade già battute e magari prestabilite e decise da altri per noi, al di là della razionalità e di ciò che è accuratamente programmato, c’è tutto un cosmo interiore ed esteriore da esplorare e scoprire. Per staccarsi da terra e sollevarsi dalla prostrazione psicofisica di chi ci ha calpestati bisogna liberarsi delle zavorre che ci fanno dimenticare di avere le ali: serve una decisione ferma e importante come quella di Ormai ho deciso, una presa di distanza da chi ci ha atterrati e rinchiusi in una prigione invisibile (“Mai più ti lascerò guidare i miei passi / Giuro mai più ti lascerò guidare i miei passi / a due passi da te e lontano da me”), per poi riaprirsi al mondo e a nuovi incontri, per darsi e gustarsi i giusti tempi per “sentire” sé stessi e gli altri. Per risorgere sarà necessario bruciare “le paure che mi hanno impedito di volare(Araba fenice); le passioni che hanno fatto soffrire si spegneranno, dissolvendosi piano tra le volute di fumo della sigaretta dell’addio (Dicembre lieve). Se quando si prova a dispiegare le ali, si finisce per cadere dal letto, si può intanto provare a sognare (Bla bla bla), mentre le chitarre elettriche accendono giornate di sole in una canzone. Se si cammina nel buio, si ritroverà comunque la strada, insegnata proprio dalle cadute: “Se sono viva, è solo merito mio […] Devo tutto al meglio che so essere”, canta Katres nella significativa ed eterea La risalita, quasi un fiero manifesto di un’identità ritrovata, canzone che conclude il nostro e suo cammino tra le canzoni nuove del suo secondo lavoro. Fa da congedo infatti come ultima traccia la cover di Mokarta dei messinesi Kunsertu, descritti abitualmente come i pionieri dell’etno-rock; quando la band pubblicò questo pezzo, era come Katres al secondo album, Shams (1989).

Il passo dei pezzi della cantautrice a volte prende cadenze vagamente reggae; altre volte i brani pulsano di un ritmo impetuoso come un’emozione (Non chiamarmi amore). Spesso in questo album c’è una grazia intima nella musica e viscerale nel cantato: esso tocca il suo apice nella rivisitazione finale del brano in dialetto siciliano, ma in ogni traccia gronda vissuto, attraversando versi chiaramente vividi e personali, ben lungi dall’essere infarcite di formule vuote da canzone di plastica. Quella che la produzione di Daniele Sinigallia compone è una ricetta sonora dal sapore contemporaneo e urbano, delicato e insieme incisivo, sognante e al contempo materico, nel vibrare fisico e talora nostalgico delle corde delle chitarre acustiche di Katres e nei crescendo intensi di quelle elettriche (v. la title-track), tra sprazzi rock e suoni vaporosi e dolenti, nella ricchezza di un sound “ficcante”.

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Daniele Sinigallia
  • Anno: 2018
  • Durata: 33:00
  • Etichetta: Giungla Dischi/Artist First

Elenco delle tracce

01. Ormai ho deciso
02. Sei
03. Bla Bla Bla
04. Araba fenice
05. Non chiamarmi amore
06. Come un’onda
07. Dicembre lieve
08. La risalita
09. Mokarta (cover Kunsertu)

Brani migliori

  1. Ormai ho deciso
  2. Sei
  3. La risalita

Musicisti

Katres: chitarra acustica, chitarra elettrica, kazoo, ukulele, Merlin, voce, testi e musiche - Daniele Sinigallia: basso, chitarre elettriche, programmazione elettronica, synth, registrazione, mix e mastering - Pietro Paroletti: Juno Synth in 01 - Marjorie Biondo: harmonium, cori, voce fx in 08 - Ivo Parlati: batteria - Maurizio Loffredo: Steel Guitar in 02 e 07 - Massimo De Vita: Rhodes in 03, pianoforte, basso e percussioni in 09 - Michelangelo Bencivenga: banjo in 03 - Andrea Ruggiero: violini -  Andrea D’Apolito: pianoforte e voce in 04 - Claudio Toldonato: Chitarre elettriche in 06 e 08 - Eleonora Zavaglia: cori in 06