L’arte della sottrazione in musica, come nelle
altre discipline, è un esercizio tanto affascinante quanto pericoloso, nel
praticarla si rischia di scarnificare le diverse componenti senza riuscire a
mantenere equilibrio, densità e conseguentemente peso specifico. Gli
Ear, trio di Faenza giunto al secondo
fatidico album, tentano, attraverso una registrazione totalmente acustica e
minimalista del loro folk d’impianto anglosassone, di “sottrarre” quanto più
possibile al fine di mettere in bella evidenza le due chitarre, il canto,
qualche percussione (a volte un po’ troppo in primo piano) e le incursioni
dosate ma piuttosto efficaci del violino di Eulalia Grillo. L’operazione si
rivela riuscita solo in parte in quanto, pur riconoscendo intuizioni
interessanti che donano all’ascolto atmosfere delicate in particolare sul
versante degli arrangiamenti, alla fine la necessità di ridare vigore e corpo alle
canzoni porta ad esagerare, su tutte il caso di
Cose (la mia altalena) in cui si cerca un crescendo con il
contributo dei Martinicca Boison per un risultato un poco pasticciato e sopra
le righe. Qua e la compaiono forzature figlie di un autocompiacimento di fondo
e spesso il cantato sgomita con la musica entrandone in rotta di collisione ed
in ultima analisi quest’ultima soccombe sotto il peso di testi verbosi,
pilotati dal canto un po’ monocorde e omologato di Cristiano Sapori. Il vero
problema è proprio la debolezza delle canzoni, spesso tediose, che non ti
rimangono impresse come ci si aspetterebbe a fronte di un progetto ambizioso. I
momenti migliori sono
Hic et nunc e
Incontrastato, brani nei quali corre in
soccorso la splendida voce di
Sara
Piolanti dei Caravane de Ville che, duettando, lascia intendere quale
dovrebbe essere la via da seguire in futuro per i tre bravi musicisti: “aggiungere”,
poco alla volta, con parsimonia e qualità.
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