Cieli Neri Sopra Torino
Uno schiaffo, un tuono prima del lampo, un fiotto di sonorità dure, graffianti, acquattate in ogni solco del cd, ma anche un gioco a spiazzare e sorprendere chi ascolta, fra l’alternarsi di ritmi melodici ed atmosfere acustiche decise ed incalzanti, ma insieme cupe, dense, strutturate. E’ Babilonia, l’ultimo lavoro dei Cieli Neri Sopra Torino, band indie-rock piemontese che propone un album maturo, con testi di buon pregio che impreziosiscono le trame musicali e non ammiccano al facile ascolto e al ritornello scontato. Come a loro piace definirla, “musica dietro le parole”.
Mauro Caviglia (voce, chitarra e testi) e Gian Piero Morfino (batteria, percussioni e cori) si confermano artisti di ottimo livello, dalle idee musicali chiare e ben definite, e hanno messo su un laboratorio che produce un pop-rock elettrico rigorosamente in italiano, con le radici ben piantate nella ricerca di testi scarni, efficaci e profondi, scritti insomma come si deve, che si caricano in spalla arrangiamenti aspri, spigolosi e graffianti, e il risultato è davvero sorprendente. La copertina del disco, prima ancora che esso inizi a suonare, ci prepara alle atmosfere delle periferie malate, a contesti post-industriali e forse post-atomici, con un traliccio elettrico che svetta sullo sfondo di un cielo che appare plumbeo e rosso insieme. Non un manifesto di ottimismo, ed in effetti gli otto brani snocciolano concetti asciutti e riflessioni di grande crudezza ed attualità, una rappresentazione quasi fotografica di disagio sociale, disillusione, violenza e sconfitta. Non c’è spazio per tonalità pastello, raggi di sole ed uccellini sul traliccio; il titolo dell’album, la copertina e le canzoni ci guidano nella stessa, univoca direzione.
Apocalisse è forse il brano più denso del disco, e sicuramente il più premiato da critica e pubblico. Un’osservazione sconfortata del nostro panorama urbano e dei corpi che ci vivono dentro, un imprinting letterario verista che non fornisce doppie letture (festa di paese in un clima surreale/crollo dei valori della società civile/e difenderemo il nostro orto-giardino/col fucile dalla fame del vicino) ma gioca a spiazzare chi ascolta, con strofe che sembrano partire in chiave quasi romantica, accompagnate da morbidi giri di chitarra, salvo a svoltare a gomito alla prima curva nell’inquietudine cupa della realtà narrata (e scenderemo giù al tramonto/e dalle ripide colline/e come lupi affamati/svuoteremo gli ultimi supermercati). La traccia successiva, Ben, è un ritratto familiare di un sabato sera d’inverno, il padre che sta bestemmiando, guarda la tv e si assopisce, la madre in cucina, la figlia che aspetta impaziente di andare a ballare, e intanto fuori nevica incessantemente, e dentro casa soltanto silenzi, fino al suono del campanello che annuncia un’aggressione ed uno sparo. Il figlio, nell’altra stanza, cuffie alle orecchie, non si accorge di nulla, e ascolta musica rock. Un nitido manifesto di incomunicabilità familiare e cieca, furibonda violenza, sul quale fa scorribanda un portato rock tagliente, ruvido, aggressivo, in stile Pearl Jam. Altro brano ragguardevole è Cieli Neri Sopra Torino, ed anche qui il disagio esistenziale è ben rappresentato (nelle vie dell’hinterland/lunghi viali e poca gente/semafori in fondo lampeggianti/e file di palazzi tutti uguali/tutti uguali). Il pezzo è cantato ed in parte recitato, e questo aggiunge pathos alla narrazione lucida e sferzante della disfatta dell’eroe urbano, che voleva essere un guerriero/e con la spada uccidere i cattivi/ ma i cattivi lui/ li aveva tutti in casa, e finisce con i cattivi che restano tutti al loro posto, e lui a girovagare senza meta, fra le luci dei centri commerciali o nei parchi abbandonati.
A fine disco è utile riattaccare la prima traccia, Ombra, per definire il percorso circolare dell’esperienza d’ascolto. E ci si accorge che in questo disco nevica, piove, spira il vento e, quando appare il sole, è lì soltanto per fare da contrappunto all’ombra, che non potrebbe esistere altrimenti, ma si tratta dell’ombra del dubbio, del sospetto, dell’ombra di Cristo che si chiama Diavolo, o di una vaga inquietudine della sera che ci rattrista, e ci fa voltare. Ma non c’è nessuno.
Babilonia è un ottimo, convincente lavoro. Il rock letterario italiano ha nuovi protagonisti, e non finisce con Ligabue, Bennato e Pelù. C’è dell’altro, e vale la pena di affacciarsi a guardare.
01. L’ombra
02. Eleonora
03. Apocalisse
04. Ben
05. Storia di un DJ
06. Cieli Neri Sopra Torino
07. Occhi chiari
08. Fiume
Mauro Caviglia: voce, chitarra e testi - Gian Piero Morfino: batteria, percussioni e cori