Non difetta certo di personalità l’esordio discografico di Alessandro Mannarino, talentuoso cantautore già apprezzato nel circuito dei club di Roma. Ironico nelle liriche e nelle interpretazioni, sufficientemente accorto da prendere le distanze dai modelli più ingombranti, Mannarino presenta un lotto di canzoni non banali, imbevute sino all’osso di romanità. Storie marginali e profonde, rette da intuizioni melodiche che non possono che guardar lontano, in particolar modo ai paesi dai quali arrivano i nuovi cittadini della capitale. L’affresco, sonoro e lirico, è decisamente affascinante, laddove l’autore riesce con semplicità ad aggirare le ovvietà di genere. Bar della Rabbia mette insieme un bel campionario di personaggi borderline della Roma dei bassifondi, vivi e credibili quanto quelli di un libertario come Remo Remotti o di una grandissima come Gabriella Ferri. Me So’Mbriacato, sorretta da un ritmo moderatamente in levare, popolare senza essere triviale, è un po’ un modello della semplicità stilistica di Mannarino. Semplicità che ritroviamo anche nell’indignata Svegliatevi Italiani che, a dispetto del titolo, non cade nella retorica facile ed è debitrice al blues sghembo di Tom Waits, rantoli compresi. In altri momenti, è l’aspetto da stornellatore che prende il sopravvento su quello del cantautore, come nel caso della title-track, imparentata da vicino alle murder ballads degli Ardecore. In altri ancora assume un rilievo preponderante il melting pot capitolino come in Tevere Grand Hotel, forse il momento più alto del disco per sintesi poetica e ambientazione periferica, o in Elisir D’Amore, molto vicina nel mood al Manu Chao di “Clandestino”. In definitiva un disco tutt’altro che monocorde, carico com’è di ritmi contaminati e poesia metropolitana, per un autore dalle idee chiare che ha tutte le carte in regola per imporsi.

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