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Setak

Blusanza

In un’atmosfera rarefatta, quasi da sogno, le note timide dell’abruzzese Setak, emergono come delle ninfee su un lago ghiacciato chiamato Blusanza. L’abruzzesità è certamente testimoniata dai testi in dialetto, pennese per essere esatti, e che a un primo ascolto mi era sembrato chietino per alcune inflessioni delle vocali; ma si sa che le parlate nel nostro secolo sono ormai contaminate da viaggi e incursioni di generazioni, tanto che a volte canzoni o semplici versi divengono italiani, oppure si allineano a una koinè dialettale molto più comprensibile.

D’altronde le parole non vengono cantate a squarciagola, ma piuttosto sussurrate, quasi volessero serbare un segreto difficile da dischiudere. Solo chi vuole veramente ascoltare può sentire con l’anima. Anche quando si è cattivi non si deve capire: i Rolling Stones cercavano di non pronunciare e non registrare in maniera perfetta le parti vocali, per lasciare un senso di mistero, o meglio di misterico.

Ma per Setak ciò riguarda anche la sua già dichiarata abruzzesità: non solo dialetto, ma anche a bassa voce, come un parigino che elemosina l’aria sulle corde vocali proprio per chi ha difficoltà a comprendere la lingua. E dall’altra parte c’è il tipico atteggiamento della sua terra, che è anche la mia: il sensazionalismo non fa parte di chi ha qualcosa da dire, e abbiamo sempre paura di dar fastidio a qualcuno. Subiamo un senso di inferiorità che Ivan Graziani descriveva benissimo; a volte però non abbiamo niente da invidiare a chi sa invece vendere bene le sue quattro novità. Non è casuale l’accostamento a Graziani: un brano come Zitta Zitte ha la tipica atmosfera dell’entroterra paesano, montanaro e un po’ chiuso, quello di Maledette Malelingue per intenderci. Ma qui le storie di Setak sono meno mordaci e vogliono solo raccontare la vita tutt’altro che frenetica di questi piccoli borghi, pieni di operosità e di gente che vuole semplicemente vivere una vita tranquilla. È questo infatti un punto comune alla cultura abruzzese, specialmente quella musicale che cerca di valicarne i confini: non voler cadere nella trappola dell’artista che si autoinfligge delle punizioni, che vuole per forza soffrire, che cerca di vedere il male anche dove non ce n’è. Il non-detto non diventa così un indice di sconforto nei confronti del mondo: la vergogna che prova l’io vicino a Marije è solo quella adolescenziale e primordiale di un ragazzino che vorrebbe avvicinarsi all’amore. Direbbe Saba: con mani troppo grandi per regalare un fiore.

Sono partito dall’arrivo, per tornare alla partenza: l’album è il viaggio di chi, dopo aver girato il mondo, torna nella sua terra per riscoprirne la magia, come un novello Pavese che cerca di attivare le reminiscenze del cuore. Da qui nasce la Blusanza, dall’incontro di blues e transumanza, cioè di internazionalizzazione e provincialismo, di globalizzazione e famigliarità, senza che nulla si connoti troppo di positività o di negatività, ma semplicemente di esperienza.

 

 

 

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Fabrizio Cesare    
  • Anno: 2019
  • Durata: 40:05
  • Etichetta: Iansa’

Elenco delle tracce

01. Blusanza
02. Mane a’ Tj’
03. Pane e’ Ccicorje
04. Marije
05. Cumbà
06. Zitta Zitte
07. Sole e Rose
08. Càmine
09. Alé Alessa’
10. Pùrteme Furtune
11. Dumane Ha ‘ggià ‘rrivate

Brani migliori

  1. Blusanza
  2. Marije
  3. Zitta Zitte