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Bruce Harper

Bruce Harper

A Brescia alcuni anni fa esplose la mania dell’Indie e i molti sostenitori di questo filone sognavano un salto di qualità che elevasse la Leonessa d’Italia al rango di altre città di provincia diventate rappresentative di movimenti musicali particolari, come la Catania del rock o la Bologna dei cantautori. Nulla di tutto ciò purtroppo accadde, ne seguì una fase di ristagno che finalmente pare ora terminata, con fermenti di ripresa che stanno ridando nuovo slancio musicale alla città. I Bruce Harper – nati nel Gennaio 2016 - sono uno dei gruppi che evidenziano questa ripartenza, artefici di un sound che incarna l’atmosfera bresciana, un po’ decadente e oscura come le polveri più o meno sottili che riempiono l’aria di una città per anni etichettata come la capitale del tondino. Oggi a Brescia di tondini ce ne sono sempre meno, in compenso ci sono però molte più band. Partiamo dal nome, Bruce Harper: confesso di non conoscere Bruce Harper, il personaggio dell'anime (neologismo che significa cartone animato giapponese) Holly e Benji, da cui ha preso il nome questa band, che cerca di trovare uno spazio vitale nell’ambito del post rock elettronico.

I Bruce Harper hanno nel dna la musica elettronica, i cui detrattori generalmente considerano musica fredda e poco incline all’emozione. Affermazione questa condivisibile in linea generale, ma non nel caso dei Bruce Harper, che suonano tutto in analogico e con un trasporto decisamente rock. Ci troviamo così di fronte ad un tentativo, a nostro avviso riuscito seppur migliorabile, di mescolare rock, psichedelia ed elettronica. Certamente questo album (ma è inevitabile) discrimina, ma del resto quando nella musica si attinge all’elettronica e si utilizza la voce (filtrata e destrutturata) solo in funzione del suono, rendendo il disco di fatto strumentale, è fisiologico che il raggio d’azione si restringa. Il suono, dicevamo analogico, rimane spesso oscuro e cupo, anche se è evidente il tentativo del trio bresciano di estrarre spiragli di luce, come nel primo singolo Sun, dove il martellio della drum machine a volte si interrompe per lasciare spazio alla voce.  Il brano successivo Whales è invece sostenuto da un incessante loop percussivo che poi si defila a favore di un giro monocorde sul quale si intarsiano squarci di synth. Sullo sfondo talvolta appaiono (e lì rimangono) richiami psichedelici, ben dosati, che non intaccano il cuore pulsante del suono, che è dato dall’incrocio tra il ritmo, a volte tribale altre volte più marcatamente industriale e la componente sintetico-elettronica. Il sound viene mantenuto spesso come incappucciato, sembra di camminare nella nebbia che avvolge e rende i rumori quasi ovattati. Poi, d’improvviso, succede che la frase musicale sia interrotta da battute percussive, insistenti, che avanzano e vengono affiancate dal liquido e magmatico suono del synth. Per questo, nonostante sia ricorrente citare tra le loro fonti gruppi come i Battles, i Vessels, i Burial, personalmente mi ritornano alla mente antichi rimandi ad alcuni suoni della new wave e all’ambiente della musica dark.

Un suono che affonda le radici nelle pulsioni internazionali, ben distante dal clima musicale italiano ed ha come orizzonte i festival europei, da società post industriale come sta diventando la nostra. Un album non facile per un gruppo coraggioso e fortemente consapevole dei propri mezzi, che vengono esaltati dalla dimensione live,  già sperimentata in diverse date su e giù per l’Italia.

Foto di Oriella Minutola

 

 

  

 

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Volume Up
  • Anno: 2017
  • Durata: 39:44
  • Etichetta: Volume Up

Elenco delle tracce

01. Exrt
02. Sun
03. Whales
04. Landscape     
05. This horizon
06. Arms
07. Blind 
08. Cold
09. Fluo rites  
 

Brani migliori

  1. Sun
  2. Whales
  3. Blind

Musicisti

Lorenzo Bassi: synth, sample, voci  - Marco Lacanna: batteria  -  Paolo Ferrari: synth, sample, drum machine