Sergio Cammariere
Questo nuovo Cammariere, a tre anni dall’ultimo album di inediti, ha per iniziare il non trascurabile pregio di spiazzarci, laddove il talentuoso artista calabrese ci sembrava quasi adagiato su cliché di consolidato, rassicurante consenso (sia pure non senza eloquenti zampate dal vivo, la sua pelle più vera). Fin dalla titletrack, che lo apre, questo Carovane parte col piede giusto: è il Cammariere più familiare, ma ai “piani nobili” (magari con un po’ troppi violini…). Il testo (di Roberto Kunstler, come sempre) scopre poi un “nervo” di ricerca lontano da certe scivolate del passato in genere riscattate sul piano musicale. E Javier Girotto, al soprano e al baritono, ne è la classica ciliegina sulla torta.
Una certa melassa (nell’incaponirsi degli archi, ma non solo) invischia un po’ i due brani che seguono, Insensata ora, in prima battuta ascrivibile al filone più soft del Nostro, per poi aprirsi una cantabilità larga e contagiosa che si appiccica addosso (idem, più oltre, Non c’è più limite), e Senti, in cui tornano certe mielosità testuali. Senza fermarsi mai è illuminata da un ottimo solo di Fabrizio Bosso, mentre subito più magra si precisa I quadri di ieri, che poi però si apre a sua volta. Testo un po’ adolescenziale, melodia ipercantabile, e ancora un po’ troppi archi.
Un primo sobbalzo ci viene però indotto, subito dopo, da La mia promessa, che cala senza mezzi termini l’atmosfera in una seducente dimensione etnica, precisamente indiana, con icone quali sitar e tabla a menare la danza, il tutto ribadito in Varanasi, primo dei due episodi solo strumentali (altra novità), che per il resto rammenta certo Dave Brubeck. Paese di finti, a seguire, sfoggia il testo più engagé del disco (non l’unico, peraltro) su una musica lieve, “facile”, a ricordarci certe cose di Natalino Otto o di Virgilio Savona, versione Cetra e non.
Piano e violino aprono poi Storia di un tale, che ha in serbo un’altra sorpresa: una vis popolaresca insolita in Cammariere. E la successiva Tre angeli ha l’incedere della filastrocca, della canzone per l’infanzia, con vaghi profumi alla Endrigo, o scampoli del De André d’antan. Alla coppia di brani, senz’altro ai vertici del cd, segue il secondo, notevole strumentale, La forcella del rabdomante, mentre il sitar torna a introdurre La rosa filosofale, un ampio prologo seguito, nel cantato, da un incedere rilasciato – quasi pigro – quanto vivido (con qualcosa, qui, di certo Gaber, magari arrangiato da Battiato), il tutto a ideale suggello di un album che sembra restituirci un artista all’imbocco di una nuova, felice stagione creativa, con certe scorie di ieri (leggi certe sviolinate, in senso meta-letterale) che, brano dopo brano, si fanno da parte in favore di sapori capaci di ricollegarsi a un’ancestralità in Cammariere non proprio abituale. Una nuova strada sembra dunque tracciata: dal certo all’incerto. Un incerto – chissà – persino più redditizio…
01. Carovane
02. Insensata ora
03. Senti
04. Senza fermarsi mai
05. I quadri di ieri
06. La mia promessa
07. Non c’è più limite
08. Varanasi
09. Paese di finti
10. Storia di un tale
11. Tre angeli
12. La forcella del rabdomante
13. La rosa filosofale
Sergio Cammariere: pianoforte, hammond B4, tastiere, WS station/emu, melodica soprano/alto Fabrizio Bosso: tromba, filicorno Javier Girotto: sax soprano e baritono, moxeño Olen Cesari: violino Gianni Ricchizzi: vina, sitar e tampura Michele Ascolese, Jimmy Villotti: chitarra Luca Bulgarelli: contrabbasso Amedeo Ariano: batteria Sanjay Kansa Banik: tabla Bruno Marcozzi, Simone Haggiag: percussioni Eugenio Vatta: udu, campionamenti Orchestra D’Archi DIMI diretta da Marcello Sirignano