Questo disco del gruppo romano dei Mokadelic è una colonna sonora anomala: opera su commissione di Gabriele Salvatores, scritta in anticipo sul film, è fatta di brani ispirati dalle pagine del libro di Niccolò Ammaniti prima che dalle scene della pellicola. Salvatores stesso ha chiesto ai cinque musicisti capitolini di realizzare un concept album ed ha più volte raccontato come il post-rock dei Mokadelic avesse influenzato atmosfere e personaggi del film.
Distorsioni melodiche in sonorità dense e rarefatte, crescendo incalzanti in brani-sinfonie: tutto l’album fa pensare al buio, ad una notte piovigginosa di chitarre elettriche che va verso l’alba di un nuovo giorno grazie a batteria e percussioni talvolta incalzanti, che rompono l’oscurità con lame di luce e temporali, mentre a portare calore rimane solo la melodia del pianoforte. Ascoltando le dodici tracce che compongono l’album si ritrovano echi di post-rock alla Mogwai; in qualche brano è inevitabile non pensare che più di qualche influenza giunga dalle sonorità dei Radiohead e a quelle notturne dei compianti Arab Strap - che permeano Hanged country, brano dal crescendo incontenibile come Hopi (way home) e Hopi, but…, potenti come sinfonie contemporanee e apocalittiche. I quasi quarantacinque minuti di questa colonna sonora ritraggono le atmosfere piovose e grigie della provincia italiana, in una sorta di viaggio visionario psichedelico e ipnotico dove a dominare sono i grandi spazi non solo geografici e la solitudine di anime perse che, come nel film, forse un giorno si ritroveranno.

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