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La Bestia Carenne

Coriandoli

La sintesi, per quanto approssimativa, del concetto di fondo espresso da questo album potrebbe essere racchiusa nella frase: “Si nasce incendiari, si muore pompieri…”, o forse anche no. Anzi, decisamente proprio no. A questa sorte, comune a diversi soggetti, in svariati ambiti non sempre necessariamente artistici, reagiscono con decisione, e con una certa intensità, i musicisti che compongono La Bestia Carenne che spargono a piene mani i loro Coriandoli lasciando lungo la strada un segno, una traccia del loro passaggio, quasi a dire di esserci, sì, ma di non potersi fermare e trattenersi, pena una sorta di “regolarizzazione” che no, non può davvero avvenire. I coriandoli poi, sono piccole tracce che non si riescono ad eliminare facilmente: si insinuano nel terreno, creano macchie di colore, volano al primo alito di vento, insomma sono un segno apparentemente insignificante ma, in realtà, alterano seppur in modo “soft” la percezione della realtà.

Dove è finita la nostra cattiveria? Quando abbiamo cominciato a centrare sempre il buco del cesso? L'arte e l'infanzia non sono certo fatte per pascolare nel seminato. Anche la musica indipendente è stata messa al guinzaglio dalle pratiche di produzione verticistiche del mercato. I risultati traducono perfettamente i terreni che tutti noi abbiamo arato. Cosa ci resta? Passare dalla parte di chi vince (ammesso di essere accolti)? Appiattire la nostra produzione sulle influenze di mercato? A noi va di pisciare e cacare un po' qua e un po' la tenendoci ben distanti dal cesso e dal seminato. Accettiamo l’odio e lo schifo senza estetizzazioni e glorificazioni.” Ecco perché, nelle stesse parole della band, possiamo trovare il senso ed il significato delle nove tracce di questo lavoro: la base, se così si può dire, è un approccio di tipo folk, nel senso di popolare, non certo di “tradizionale”, ma le interpolazioni sono  numerose e decisamente molto eterogenee: sprazzi di elettronica, chitarre acide, ed ancora echi di musica etnica, pause psichedeliche, quasi pinkfloydiane, variazioni continue come ad accompagnare e scandire la presenza di quei coriandoli che, necessariamente, prima o poi scompariranno, da soli, senza che nessuno si prenda neppure la briga di toglierli, ma che avranno comunque segnalato la possibilità di un cambiamento.

Quello del gruppo campano è un album, a suo modo, abbastanza cerebrale, che va ascoltato, “macinato” ed assimilato, soprattutto per via dei suoi continui e quasi schizofrenici mutamenti, che offrono pochi punti di riferimento ed obbligano l’ascoltatore a riportare alla luce o a creare e sviluppare ex-novo le proprie conoscenze musicali. Non è tecnicamente un concept album; tuttavia ha una sua unitarietà “sotterranea”, fatta di rimandi fra un brano e l’altro, realizzati non tanto attraverso la ripresa di passaggi musicali, quanto invece grazie all’utilizzo di timbri, effetti e stilemi strumentali ricorrenti, non sempre immediati ma che una volta percepiti legano l’insieme. Difficile individuare un genere a cui associare questo lavoro: quello che è certo è che vale la pena di ascoltare con attenzione queste storie, ed il modo con cui vengono narrate. Che poi, alla fine, è ciò che conta realmente.

 

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Andrea “Salada” Saladino, Mario “Olio” Grimaldi, Fabrizio Piccolo, Gianluca Vaccaro, Stefano Bruno, Felice Calenda, Cristian Peduto, Davide Della Monica, La Bestia Carenne
  • Anno: 2017
  • Durata: 48:37
  • Etichetta: Bulbart Works/Believe Digital

Elenco delle tracce

01. L’uomo che cammina
02. La quercia
03. Le gambe belle
04. La notte di San Giovanni
05. Il nome di Saffo
06. Carpenteria
07. Il cecchino
08. Polena
09. Le mosche

Brani migliori

  1. La quercia
  2. Le gambe belle
  3. Carpenteria

Musicisti

Giuseppe Di Taranto: voce, chitarra  -  Antonello Orlando: chitarra elettrica  -  Paolo Montella: voce, basso, tastiera  -  Giuseppe Pisano: batteria, elettronica  -  Stefano Costanzo: batteria  -  Charles Ferris: tromba  -  Sergio Di Leo: sassofono