Simona Colonna
Con sulle labbra un sorriso che parte dalla copertina e arriva alla grana della voce, Simona Colonna ci fa apparire semplice e a tratti addirittura banale ciò che invece è il frutto di un lavoro complesso, di studio decennale e talento innato, difficile da sondare eppure così immediato, come una classica poesia pascoliana, intitolata Curìma curìma…
Difficile prima di tutto è dire che genere di musica è: l’unico strumento è il violoncello; Colonna canta per lo più come una rockstar, alla Janis Joplin, mentre in altri punti si lascia andare a virtuosismi tecnici lirici; i pezzi sono tutti strumento e voce, quasi fosse canzone d’autore, o una semplice schitarrata da spiaggia. Alla serietà della musica classica si accompagnano momenti alla Jannacci, con accumulo di oggetti da linea lombarda ma trattata alla stregua del dialetto pasoliniano… questo mi dà lo spunto per dire che non possiamo neanche affermare con esattezza se si tratta di canzone dialettale o italofona. Chi non ha ascoltato l’album pensa che io stia esagerando, e basterà dire che alcune canzoni sono in dialetto e altre in italiano. E invece no, perché all’interno della stessa canzone, come nella splendida La vecchia stazione, si procede a un code-switching che comunica e allo stesso tempo ci confonde, fino a non farci capire bene più il confine tra il rarissimo dialetto roero e la nostra lingua madre ormai abusata, soprattutto quando si parla d’amore ed è difficile scegliere Solo parole d’amore.
Ma se ho nominato Jannacci è perché molti dei pezzi si improntano su un uso folcloristico che innesta il comico-surreale, tra elenco alla Palazzeschi e resa cronachistica, tecniche che si sintetizzano perfettamente in due brani: Tiritera dla mia terra sull’ossessione tipicamente italiana regionale del cibo, tra nausea da grande abbuffata e orgoglio di genuinità; Drin Drin sulla mania per i cellulari, nel più classico barocco di mescolamento tra linguaggi, giusto per continuare a complicare registri e sensazioni.
Sono quindi degli scenari metalinguistici e metafisici che provano a creare la realtà attraverso le parole o a concretizzare le parole nella realtà, come un Chlebnikov che incontra Stravinskij, sondando una molecola vera e profonda nei meandri delle parole, accompagnate da un violoncello che fa da contrappunto, passando attraverso vari tipi di tecniche, dal pizzicato all’archetto, dallo stoppato all’armonioso.
Ci piace quindi immaginarla a registrare l’album in presa diretta, nella naturalità del gesto che più le si confà, come si capisce già dal disco e poi si concretizza dal vivo: come un’artista di strada che si può incontrare alla metro Châtelet o nella Subway londinese, e solo per un attimo ci distrae dalla nostra routine alienante per farci sentire noi stessi.
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01. Curìma, curìma…
02. Alla corte dij Galin
03. Albero
04. Drin drin
05. Nanù
06. R’è mac pieuva
07. La vechia stazione
08. Solo parole d’amore
09. Tiritera dla mia tera
10. Masca vola via
11. Babau