Gardenya
Chi l’ha detto che per meritarsi il sigillo di musica di qualità bisogna essere indie composti, tristi intellettualoidi occhialuti e impacciati che osannano un minimalismo sonoro di estrema, bloccata sobrietà? Il proprium dei Gardenya, all’esordio su full-lenght autoprodotto, dopo cinque anni di fitta attività live che ne hanno temprato il carattere e la qualità tecnica, è l’enfasi emozionale di un rock turgido e quasi “decadente” (fin nel nome), tumido di aperture gloriose di synths dalla maestosa ariosità, tra brividi di ritmiche tese e chitarre gonfie di pathos.
La band tranese non si accontenta della sua onestà musicale, ma “osa”, caricando della loro schiettezza passionale da eroi dandyish anticonformisti, romantici e provocatori gorghi di ombre chitarristiche psichedeliche, arpeggi brit-pop e torbide malinconie alternative-rock (si ascolti il lirismo cupo e struggente della splendida title-track). Quest’ultime sono cavalcate dalla visceralità estenuata delle interpretazioni di Nico Landriscrina, che rammenta a tratti l’impetuosità sciamanica della voce di Robert Smith, persino l’enfasi tipica di un certo hard rock/AOR di grande potenza, o nei momenti più fermi l’intensità sofferta di Moltheni.
Se la copertina di Vincenzo di Terlizzi attraverso la trasmutazione degli sfondi fotografici trasporta il quotidiano in un sontuoso sfondo, che combina una villa settecentesca e una Milano lontana, il melogrunge dei Gardenya lascia che permeino nell’inesorabilità ritmica del post-punk, finemente orchestrata da basso e batteria, l’impeto moltiplicato dall’echo di chitarre alle U2 e la visionarietà dilatata di certa new-wave. E immerge frammenti di ordinario nella grandiosità bohèmienne e sognante di un entusiasmo liricheggiante sempre “giovane”.
Ogni tanto il ritmo rallenta in fantasie lievi e rilassate dal sapore acustico (Labbra, Il mare che, debitrice di un certo mood romantico degli amati 60’s) e si può tirare il fiato. Ma i veri Gardenya non ci sembrano in questi episodi di pure levigata preziosità, quanto nel fluire, nel crescere magmatico e drammatico delle distorsioni, in quella irruenza melodica spontanea che può disturbare chi inorridisce alla parola “pop” o esaltare (Come stai, la bruciante Polvere).
Il gruppo pugliese ha un suo chiaro stile, dalle potenzialità persino stadium, che non possono mettere d’accordo tutti, ma potrebbero conquistare. Animi e classifiche. Disegnando attorno pareti. E piccoli universi di forti passioni “cinematografiche”, «complicate» e «allucinate», come si definiscono i fan del quartetto.
01.Economia poetica
02.Due di due
03.Polvere
04.Frankie allucinato
05.Il mare che
06.Romantico
07.Come stai
08.Piena la tv
09.Labbra
10.Disegnando pareti
Nico Landriscina: voce, chitarra Marco Porcelli: chitarre, synth Natale Capurso: batteria Antonio Russo: basso