Domino
Qualche amante del progressive potrebbe incuriosirsi anche solo scorrendo la tracklist di questo album, proprio perché l’idea che traspare è quella di una sorta di “concept album”, di una storia unica, frantumata in otto episodi, con un’introduzione ed un finale ben definiti.
La realtà non è molto distante dall’apparenza, ma va puntualizzata e raccontata in modo dettagliato. Strutturalmente, in effetti, più che di un quadro unico frazionato in più “formelle”, siamo di fronte ad una sorta di polittico musicale, ovvero ad un’immagine che si compone di più parti, che prese singolarmente hanno una propria autonomia musicale ma che, affiancate, contribuiscono a realizzare un’opera più complessa.
Intanto vanno sottolineate le caratteristiche salienti, quelle che balzano subito all’orecchio: assenza, o comunque presenza minima, di una ritmica definita, per cui il tempo viene dettato direttamente dagli interventi di sax e vibrafono, e neppure dal contrabbasso, che svolge una funzione più che altro di tipo armonico.
Poi la destrutturazione dei brani: non ci sono strofe, non ci sono ritornelli, anche il concetto di assolo è stravolto perché, di fatto, ogni strumento che interviene propone una parte solista che va a giustapporsi alle altre; di fatto brani come The tale of colours sono un continuum che conduce al termine senza mai ripercorrere passaggi già eseguiti, e quindi senza offrire alcun punto di riferimento riguardo a dove il brano possa andare a parare.
Risulta evidente che Domino’s Tales non sia un album, per così dire, “di facile ascolto”, nè un lavoro i cui ci sia la possibilità di poter fischiettare quel dato riff, o di memorizzare quella precisa sequenza, proprio perché la musica non è, per così dire, “ciclica”, ma parte da un punto preciso per arrivare, attraverso un percorso, spezzettato ancorchè rettilineo, ad un altro punto altrettanto preciso.
Sicuramente non risultano estranee, nell’ambito della formazione musicale del terzetto, le influenze derivanti dall’ascolto del free jazz (Art Pepper in primis), e neppure dell’ultimo Coltrane, quello più minimalista e meno melodico, ma si può anche ipotizzare qualche non secondaria influenza, per lo meno a livello di struttura dei brani, da parte del jazz modale di Miles Davis.
La capacità dei tre strumentisti sta, oltre che nel fatto di esser riusciti a concepire un lavoro decisamente complesso, nella perizia dimostrata nel riuscire a piazzare una serie infinita di “pennellate musicali”, apparentemente scollegate fra loro, ma che alla fine riescono a suonare come coerenti; il tutto con una delicatezza ed una attenzione al dettaglio davvero notevole.
Un album per appassionati, sicuramente, ma anche, perché no, una sfida lanciata a chi è abituato ad ascoltare sonorità più organiche, più strutturate, più accessibili.
01. Prologue
02. The tale of colours
03. The tale of shadows
04. The tale of souls
05. The tale of rituals
06. The tale of fairies
07. The tale of the small things
08. The tale of Christmas
09. The tale of dances
10. Ending
Marco Colonna: bass clarinet, baritone and soprano sax - Francesco Lo Cascio: vibraphone, percussions - Lillo Quaratino: double bass