Emma Nolde
L'inizio dei vent'anni è un po' come essere in disparte. Potrebbe essere questa la sintesi dell'opera seconda di Emma Nolde "Dormi", arrivata due dopo "Toccaterra", finalista nelle Opere Prime delle Targhe Tenco. Parafrasando la canzone simbolo dell'esordio solista di Francesco Motta, che in questo disco è co-produttore, la cantautrice guarda il mondo con gli occhi della sua generazione inquadrandone le fragilità, le paure e le speranze. "Avrete i miei vent'anni, non avrete i miei ricordi".
Il racconto intimo e sofferto della Nolde comincia da questa frase miliare, dal coprifuoco che ha segnato i suoi vent’anni. Una voce, la sua come quella di tutti i nati dal 2000 in poi, spezzata nel deserto della pandemia. Una forza vitale sgretolata dal buio sociale, la voglia di buio e di notte stoppata dalle procedure. La canzone d’apertura, non a caso, è costruita su pochi versi. È il vuoto a dire tutto, riempito dalle percussioni e dagli archi. I vent’anni cominciano alla finestra.
Fuoco coperto crea la tensione necessaria per Voci stonate, che si dichiara nettamente inno generazionale. Emma Nolde riporta al centro un canto rotto e sedato, un discanto articolato in vari frammenti di vita: il sonno, il respiro, l’impulsività, l’autoironia, l’amore, la nostalgia, la confusione della routine, l’incomunicabilità, il coraggio dei baci, il tempo mai sufficiente, le promesse condizionate. Fotografie di vite fatte di attività immobile, storte non per scelta ma per mancanze e smarrimenti altrui. In disparte non per volontà ma per malasorte.
La cantautrice toscana manifesta una poetica personale a dispetto di un panorama, quello dei suoi coetanei, votato spesso all’oblio del contenuto e volentieri all’apoteosi della forma industriale. Emma canta il suo tempo senza rincorrerne gli stilemi ma anzi, producendo un disco in cui gli strumenti fanno la differenza – eccezionale il mix di fiati e di archi – e il suono sintetico non è un sofismo ammiccante ma un valore aggiunto. Nelle sue composizioni trovano spazio ballate, canzoni dalla metrica spigolosa, aperture sinfoniche, ninne nanne ma anche un flow più vicino al rap e alla dimensione urban della generazione Z. Ciò che emerge chiaramente è la forza narrativa dei brani, che sviluppano un racconto coerente e coeso a livello di arrangiamenti.
La Nolde si inserisce nel solco dell’Italia tosco-emiliana degli anni Zero, di cui potrebbe raccogliere (se non lo ha già fatto) una sorta di eredità: dalle fenomenologie post-industriali di Vasco Brondi agli Zen Circus fino al già citato Francesco Motta, deus ex machina di questo lavoro. La produzione è stata un costante punto di forza degli album del cantautore pisano, accompagnato prima da Riccardo Sinigallia e poi da Pacifico e Taketo Gohara, presente qui nel missaggio. La sua collaborazione ha impreziosito l’album a livello strutturale, come ben testimonia Te ne sei andata per ballare, in cui l’eco di Motta è molto evidente. Questo aspetto viene messo in risalto non per togliere farina dal sacco di Emma Nolde, anzi. È un modello progettuale che ha caratterizzato la genesi dell’album fin dall’inizio ed è stato anche ampiamente raccontato sui social prima, durante e dopo l’uscita. La collaborazione tra artisti di generazioni diverse (seppur non molto lontane, in questo caso), è una suggestione positiva per la musica.
Le canzoni di Dormi traducono una fisicità non in senso corporale ma teatrale, perché lasciano percepire a chi ascolta una sofferenza mai fine a sé stessa, una tragica e autentica ricerca di spiragli ma anche di protezione, la rabbia di chi sente il peso dei buchi di altri, l’equilibrio precario di chi non riesce a stare a occhi aperti ma comunque ha paura di chiuderli, lo spaesamento di chi non riesce ad avere il controllo sulle cose e che “ha bisogno di canzoni per parlare”. Nel racconto di Emma Nolde non c’è spazio per la deboscia che oggi le produzioni del pop e dell’itpop vogliono troppo spesso veicolare. Le sue sono storie a volte personali che però si articolano su temi universali coperti da due strati densi, la distanza e l’immobilità.
Come a dire che il disagio non si affronta con l’esaltazione dell’abbrutimento o dell’eccesso vitalistico ma provando a rimettere al centro le persone che lo vivono. Senza orpelli, mise patinate e musiche da giostra. La cantautrice toscana – come sentenzia quel “ti ho strinto” anziché “ti ho stretto” in Ti prometterei – racconta l’inizio dei suoi vent’anni senza intenti morali o riflessivi, ma semplicemente aprendo bene le persiane per guardare fuori, e per questo è ancor più credibile. Un disco privo di quel vittimismo o, al contrario, della prosopopea che il costume spesso ci fa cavalcare e, anzi, chiuso da una canzone in cui è forte il binomio dolcissimo tra promessa e insicurezza: “ti prometterò / che te lo dirò davvero / quando avrò il coraggio”.
Chi ha vent’anni oggi può ritrovarsi nei temi di questo album. Chi li ha superati, non importa da quanto, potrà trovare uno spunto per provare a guardare oltre il proprio naso. Magari è meglio che starsene in disparte.
01. Fuoco coperto - Intro
02. Voci stonate
03. La stessa parte della luna
04. Dormi
05. Respiro
06. Non so chi sei
07. Te ne sei andata per ballare
08. Storia di un bacio
09. CVQT
10. Ti prometterei – live in studio
Emma Nolde (chitarre, basso, synth, elettronica, pianoforte);
Francesco Motta (basso, synth, elettronica);
Cesare Petulicchio (batteria, synth, elettronica);
Marco Pizza Martinelli (batteria);
Simone Alessandrini (sax);
Carmine Iuvone (violoncello, viola contrabbasso, flicorno, flicorno baritono);
Lorenzo Saini (violoncello);
Valentina Del Re (violino)