Stefano Vergani
Non bisogna lasciarsi ingannare dalla voce roca e cavernosa, un poco borbottante, perché Stefano Vergani ha in realtà solo ventotto anni, sebbene occorra dire che ha già all’attivo altri due dischi La musica è un pretesto, la sirena una metafora (2005) e Chagrin d'Amour (2007). Non ci troviamo quindi di fronte a un’opera prima davanti alla quale chiudere eventualmente un occhio su qualche aspetto meno convincente, né un’opera seconda, quella che dovrebbe essere per ogni autore o la conferma del proprio talento. Com’è allora questo nuovo lavoro di Stefano? Beh, diciamo che se il disco d’esordio peccava forse nell’essere troppo impregnato dalle stesse fonti cui Vergani s’ispirava cioè Capossela, Conte, Fossati, Jannacci, e se il successivo disco era sembrato affrancarsi maggiormente con scelte più originali, anche se certe influenze erano a tratti ancora presenti, E allor pensai che mai sembra quasi tornare sui propri passi. Si percepiscono riferimenti ai propri idoli piuttosto dichiarati, basti pensare a Happy rhymes, che già nel titolo mi ricorda Happy feet di Paolo Conte e in cui non mancano neppure i coretti.
A questo punto però non possiamo più parlare di Vergani come autore derivativo, bensì come un’artista che ha ben presente a quale stile ispirarsi, finendo per elaborare un proprio percorso personale e originale, che gli permette di non confondersi con altri. Se riascoltiamo il disco sotto questa luce, ecco allora uscire allo scoperto ottimi brani come l’apri pista Mercoledì, un caldo swing in cui Stefano canta anche un piccolo frammento nel suo dialetto «Varda l’è l’bagai del majalach l’è vegnù grand / mi se ricordi quand te seredt volt insci», oppure Tre cuori, malinconica canzone che ci narra un amore che ormai si trascina stancamente, dettato più dall’abitudine che da un passionale amore.
La successiva L’uomo cannone nel titolo ricorda la famosa canzone di De Gregori e ci narra l’ammirazione senza limite di un figlio d’arte per il proprio padre, «Padre il mestiere che sei io sarò, l’uomo cannone». Molto soft e piena d’atmosfera è invece la title-track, mentre veramente deliziosa è Mariarosa, una canzone sospesa tra rumba-beguine e sonorità mariachi, che ci stringe alla donna della canzone spingendoci ballare, anche se come ogni attimo magico tutto finisce a cantare: «E a quel paese io ci voglio andare a piedi / e stai sicura che per strada troverò quello che ho perso».
Il disco si chiude con Amabili, brevissima canzone di poco di due minuti, registrata forse dal vivo visto l’evidente chiacchiericcio di sottofondo e che forse racchiude in sé il vero volto di Vergani, per quell’intimismo un po’ minimalista che la contraddistingue e quella filosofia schietta: «Ed è per questo che ci piace ed è per quello che suoniamo / per uomini gentili e i farabutti per signore in carriera / e parrucchieri per ministri e per portieri / certo ad ascoltarci sono pochi ma buoni / e il resto sono amabili … ».
01. Mercoledì
02. Ho giocato e perso l’anima ai dadi
03. Tina
04. Martin
05. Tre cuori
06. L’uomo cannone
07. Pennacchio
08. E allor pensai che mai
09. Happy rhymes
10. Mariarosa
11. Scarpe bianche
12. Gli ultimi 6 mesi
13. Tuttolamorecheso
14. Amabili
Stefano Vergani: voce Luca Butturini: chitarre, ukulele, mandolino Diego Potron: contrabbasso, slide guitar Felice Cosmo: pianoforte, rhodes, glockenspiel Cristiano Novello: batteria Daniela Savoldi: violoncello Stefano Iascone: tromba Massimo Piredda: trombone