Ci sono lavori discografici, rispettabilissimi peraltro, che nascono di fatto già datati, perché troppo legati al periodo, al personaggio, all’epoca i cui vennero realizzati. E’ questo il caso del doppio album che segna il ritorno canoro di Sabrina Salerno, già negli anni ottanta più personaggio da videoclip che cantante vera e propria, sensazione, spiace dirlo, che resta inalterata anche a distanza di anni. Il primo cd, per giungere subito al punto, malgrado sia composto dai brani cosiddetti “storici” – le hit da classifica adeguatamente remixate – suona terribilmente datato: e non si parla dei testi certamente trascurabili, o degli  arrangiamenti, perché di musica da discoteca si trattava allora e, come tale, va valutata anche col passare del tempo, ma del (poco) spessore dell’epoca che si percepisce ancora di più oggi, soprattutto alla luce dell’evoluzione anche di gusti avvenuta nel frattempo in ambito prettamente danzereccio.
A poco servono le cover di Erase/Rewind dei Cardigans (abbastanza fuori tema) e della celeberrima Born to be alive, così come abbastanza superflua quella di “Solo una sana e consapevole libidine” di Zucchero, che apre il secondo dischetto reinterpretata in inglese (No matter what you say), brani che isolati dal loro contesto originario, e resi più ballabili, perdono le loro peculiarità originarie.
§C’è, è vero, tra i brani inediti qualche discreto pezzo pop, ma la sensazione è che si tratti in generale di pezzi che non bucano, canzoni che scivolano via con una certa leggerezza senza lasciare troppe tracce, anche perché la voce della Salerno non è di quelle che brillano per carisma o particolare presenza.
Dunque un’operazione di valore quantomeno dubbio, almeno in senso assoluto; poi, certamente, i fan della show-girl genovese avranno tra le mani un compendio della sua carriera che apprezzeranno sicuramente, ma è indubbio che l’appeal nei confronti di nuovi potenziali ascoltatori pare davvero minimo, mentre il senso di già sentito è palpabile.

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