In altri tempi si sarebbe sicuramente parlato di “musica sperimentale”, quando le contaminazioni erano l’eccezione alla regola, quando il mescolare elettronica, jazz e musica classica sarebbe stato visto come un azzardo fuori dal comune; oggi, in una situazione in cui la “fusione” di stili è quasi la norma e, spesso, si corre il rischio di creare dei suoni ibridi e poco caratterizzati, fa piacere constatare che si trovano invece episodi felici.
Un quartetto d’archi, formazione classica; come ospiti un gruppo di jazzisti decisamente importanti (Fresu, Marcotulli, De Vito) e all’avanguardia ma, al contempo, altrettanto decisamente rispettosi e capaci di non “allargarsi” troppo; l’elettronica, amata, odiata, esaltata o vituperata, ma capace, se utilizzata cum grano salis, di regalare atmosfere particolari. Ed ancora strumenti molto caratteristici e non del tutto usuali, armonica e bandoneon: si mette in moto in questo modo un meccanismo fatto di melodia e sentimento, di feeling e groove, di atmosfere rarefatte che all’improvviso mutano in situazioni intense e partecipate.
Più musica classica che jazz, certo, ma un suono differente dalle realizzazioni cameristiche, più movimentato, più intrigante, e, non ce ne vogliano i puristi, decisamente accattivante; in tempi in cui la musica classica spesso rischia di diventare una sorta di pretesto per “nobilitare” nuove realizzazioni discografiche, fortunatamente una sorta di “purezza” sopravvive ancora, ed Ethos del Quartetto Alborada ne è un limpido esempio.
Che poi la si voglia chiamare “musica classica contemporanea” o in qualunque altro modo, è un fatto del tutto secondario: qualunque definizione, in quanto sintesi, spesso tralascia particolari e dettagli di grande valore, l’ascolto attento ce li restituisce per intero.

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