Tugs
Ci sono storie che vale davvero la pena di raccontare, anche soltanto per il loro curioso e complicato andamento nel tempo.
I Tugs nascono a Livorno, verso la fine degli anni ’70, periodo in cui il progressive si apprestava ad essere, almeno momentaneamente, consegnato alla storia dall’ondata nichilista del punk; il rock abbinato al teatro poi, ha davvero vissuto momenti difficili, soprattutto negli anni ’80, e l’avvento del grunge, nei primi anni ’90 non ha fatto altro che posticiparne… il ritorno.
Tutto sommato, se è vero che il neo-prog ha iniziato a scalpitare già prima della metà degli anni ottanta, ed è altrettanto vero che il prog-metal ha seguito il medesimo percorso già prima degli inizi del decennio successivo, non sorprende affatto che una band italiana che non aveva lasciato alcuna traccia discografica - ma che aveva portato in giro per i palchi la propria musica abbinata anche a spettacoli teatrali - recuperi tutto quel materiale, lo riorganizzi in modo coerente e, grazie ad una formazione allargata ed arricchita con nuove sonorità e nuovi strumenti, lo pubblichi a così grande distanza dal suo concepimento.
Nasce dunque Europa Minor, titolo quanto mai adeguato a questo debutto/ritorno, perchè se è vero che la band è rinata grazie ad una mescolanza di musicisti, suona quasi logico che si sia impegnata a raccontare una storia, ed un’area geografica, che hanno nella “mescolanza” la loro cifra storica, sociale e culturale fondamentale.
Torna, e non poteva essere altrimenti, quella commistione di rock e folk che aveva caratterizzato il lavoro dei Tugs negli anni della loro formazione, e torna anche quell’approccio teatrale che li aveva contraddistinti.
Il solco percorso è senza dubbio quello della band “storiche” di quel periodo, come altrettanto evidente è l’inveterato amore per la narrazione storica, caratteristica che ancor’oggi contraddistingue le band progressive italiane, meno “affezionate”, rispetto a quelle inglesi, alla narrazione puramente favolistica o fantastica.
Le undici tracce, volutamente definite “vintage” perché nate oltre trent’anni fa, si snodano fra episodi, descrizioni, racconti che descrivono alcune vicende fra quelle che hanno caratterizzato, appunto, la storia di questo pezzo d’Europa; si mescolano fantasie, passaggi storici realmente accaduti, suggestioni, riminiscenze di studi passati, che riunite insieme realizzano quel rock “colto e progressivo” (citazione quantomai doverosa di una brillante definizione coniata da Renato Scuffietti, conduttore radiofonico ed appassionato, nonchè esperto, del genere…), che condensa e ripropone i risultati di un percorso ormai ultraquarantennale.
Un lavoro che malgrado la complessità strutturale, scivola via agevolmente, sfugge dal rischio, sempre presente in questo tipo di lavori, di “avvitarsi” su sé stesso e mantiene, nei suoi oltre settantacinque minuti, una notevole fluidità ed una sottile eleganza.
Grande deve essere dunque la soddisfazione, per la band labronica, nell’aver completato un percorso inopinatamente lasciato in sospeso, e nell’averlo fatto nel modo più espressivo e convincente.
01. Waterloo
02. Il re ed il poeta “La corte”
03. La gloria
04. La brigata dei dottori
05. Pietroburgo 1824
06. Le colline di Ems
07. Il pianto
08. Nostra signora borghesia
09. I bambini d’inverno
10. Canzone per un anno
11. Nanou
Pietro Contorno: voce, chitarra - Marco Susini: tastiere - Nicola Melani: chitarre - Bruno Rotolo: basso - Fabio Giannitrapani: batteria, percussioni - Claudio Fabiani: flauto - Francesco Carmignani: violino - Martina Benifei: violoncello - Matteo Scarpettini: percussioni - Antonio Ghezzani: chitarra, mandolino, mandola