Armoteque
Le undici canzoni di questo album di esordio galleggiano nel mare lattiginoso del Bristol sound, guidato dalla voce seducente di Stefania Centonze, tra sussurri e limpidezze setose. Si tratta spesso di downtempo, che gocciano, isolando i suoni (bassi, lenti e sinuosi riff di chitarra, il pulsare della ritmica elettronica) in un lo-fi sofisticato à la Portishead (v. ad esempio Position of the Heart).
Quando la liquidità lunare dei brani acquista un più netto e affascinante calore nei suoni eterei e magnetici dei synths, nella dolcezza malinconica del riecheggiare mormorato e morbido delle chitarre elettriche e nel risuonare ampio e jazzato della batteria campionata (It Hurts, «the epitaph of our love»), oppure quando l’elettronica costruisce magniloquenze di archi notturni in contrasto con ritmi inquieti (la dolorosa Drifting), è facile pensare alla Bjork più trip-hop, o forse persino alla Tori Amos più sperimentale (soprattutto quella di From the Choirgirl Hotel), ma sono solo suggestioni.
Le sonorità del gruppo bolognese, nato nel 2007, infatti, sgorgano languide con uno stile non rivoluzionario, ma dotato di un fascino proprio, che ottiene i risultati più interessanti allorché pare abbeverarsi pure di quel gothic che ammantò di tenebre maliose la new-wave. Si ascolti in questo senso soprattutto Obviously, che cita anche versi di P. B. Shelley: in questo brano l’amore è «blood, sweat and lies», librarsi e insieme affondare nel piacere, che si fa dipendenza.
Nei testi del disco la fluidità dei cambiamenti che attraversano il tempo si fonde all’eterno tormentato ritorno dei ricordi e delle emozioni (Metamorphosis); la solitudine si accampa allora come una presenza confortante, alternativa al dolore e compagna della verità. Le passioni nuotano in un immaginario spesso cupo e a volte voluttuoso, ma rigorosamente sempre elegante e sfumato, in bilico tra desiderio, rifiuto e ossessione (sentimenti che sanno però anche acquietarsi nel chiarore di un Early Morning).
Non tutte le canzoni dell’album riescono tuttavia a scivolare sotto pelle: alcune si limitano ad accarezzare e cullare in un alveo sonoro raffinato, a tratti persino lounge, tra giri di basso acid-jazz (Razor Girl, Metamorphosis) e suoni atmosferici (What You Feel, Early Morning).
La band però possiede un attraente potenziale più chiaramente trip-hop, qui già ottimamente esplicato, e un background rock che potrebbero consentirle di nutrire buone ambizioni, in virtù delle sonorità internazionali, e di tenersi sicuramente ben lontana dal chill-out.
01. Dirty hands
02. What you feel
03. Early morning
04. Drifting
05. Loneliness
06. Razor girl
07. Metamorphosis
08. Oblique
09. It hurts
10. Obviously
11. Position of the heart
Stefania Centonze “Vanilla Punk”: voce
Federico Bologna “Fredbo”: tastiere, trattamenti, programming
Gian Luca Gaiba “Boka”: chitarre, trattamenti, programming
Luigi “Sorvolator” Savino: basso in 06, 10, 11
Claudia “Miranda” Giovannini: basso in 02, 08
Gianluca “Pecos” Grazioli: batteria campionata in 09, 10