Claytoride
Una band dal nome decisamente particolare, sul significato del quale i suoi componenti lasciano assoluta libertà di interpretazione, anzi, si divertono proprio ad affermare: “fate voi…”; un produttore (e chitarrista) originale, avanguardistico, sia per l’approccio che per i suoni ed il metodo di lavoro; un album “live in studio” nel vero senso della parola, così pensato e realizzato proprio per poter trasferire, anche sul dischetto, i dettagli e le spigolature di un’esecuzione dal vivo, in cui “ci si lascia andare” in modo più libero e creativo.
I Claytoride hanno affrontato il loro primo full-lenght dopo l’EP Age of Innocence ed il singolo Nothing Really Dies, con il medesimo entusiasmo derivato dalla convinzione che il rock, anche in tempi in cui, periodicamente, viene dato per malato, moribondo oppure definitivamente defunto, in realtà finchè risulta fonte di divertimento e permette ai musicisti di imbracciare con piacere i propri strumenti è vivo, vivissimo, praticamente un neonato scalciante e con tanta voglia di farsi notare e sentire.
Ecco, allora, le sette tracce di For his wine and chambers, un mix di prog settantiano, nella sua forma più diretta, e grunge anni ’90, con il quale la band vicentina realizza una sorta di ponte fra epoche e stili; l’operazione in sè non è certo facilissima, soprattutto perché si rischia di risultare dispersivi, ma se si supera l’approccio di ascolto odierno più diffuso, ovvero quello che considera solo i primi venti, trenta secondi di ogni pezzo, una certa coesione di fondo la si può riscontrare.
Per mescolare due generi così antitetici o per lo meno molto distanti, occorrono alcune doti imprescindibili: perizia tecnica, perché l’esecuzione dev’essere precisa, radicalmente precisa, capacità di scegliere, assemblare e miscelare i suoni perché debbono essere contemporaneamente grintosi ma altrettanto definiti, ed una certa fantasia perché solo questa può essere il collante invisibile che tiene insieme tutto il discorso.
I cinque ragazzi veneti ci sanno fare e lo dimostrano: la produzione li stimola e li asseconda, fornendo un supporto imprescindibile e riuscendo ad evitare il rischio che l’album scivoli verso il soliloquio. L’equilibrio sonoro raggiunto fa sì che nessuno strumento si erga ad assoluto protagonista (“difetto” che nel prog si riscontra frequentemente), mentre la definizione dei suoni permette di evitare che il risultato finale risulti poco chiaro o difficilmente comprensibile (“problema” che nel grunge non è certo stato infrequente), e che quindi si perdano nell’ascolto certe finezze esecutive.
For his wine and chambers, in sintesi, riesce a riunire in sé finezze esecutive e grinta, cura del dettaglio ed attenzione all’impatto sonoro d’insieme, risultando un album maturo, che richiede però una certa attenzione. Non è un lavoro esattamente immediato, o per lo meno non lo è se si cerca di apprezzarlo davvero a fondo, perché il dettaglio va scoperto, la particolarità va cercata e colta, non è affatto né immediata né immediatamente evidente.
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01. Ignorance
02. Something in your shoes
03. Mexico
04. Ocean’s return
05. Nothing really dies
06. Time
07. Wine & chambers
Andrea Pasquetto: voice, mouth organ - Gregorio La Salvia: guitar, voice - Stefano Sartori: guitar, voice - Matteo Tretti: drums - Michele Thiella: bass guitar