Diretto da Edoardo Winspeare, con Donatella Finocchiaro, Fabrizio Gifuni, Giorgio Colangeli e Giuseppe Fiorello fra gli interpreti, ambientato a Lecce negli anni Novanta, Galantuomini è un film non esente da istanze sociali, "una storia d’amore sullo sfondo di una terra che è cambiata, che ha perso la sua innocenza, è stata contaminata, da isola felice qual era", come afferma lo stesso regista. La colonna sonora, composta da Gabriele Rampino (che ne è anche il principale esecutore), privilegia, specie nella prima parte, atmosfere arabeggianti, soleggiate e (spesso) malinconiche, evocanti indolenza, calura, case bianche... Il leggendario Tito Schipa, leccese doc, fa capolino in prima persona in Lecce mia, tratta di sana pianta da un’incisione del 1937. Altri episodi (talora semplici frammenti motivici) hanno un incedere più spiccatamente ritmico, non di rado a mo’ d’intercapedine verso aperture più esplicitamente cantabili.

Al centro delle operazioni stanno strumenti dal forte impatto evocativo e seduttivo quali il duduk (sorta di flauto armeno), la fisarmonica, il clarinetto (sempre con ampie valenze etnicheggianti), la chitarra acustica, l’oud, il violino. Non manca, d’altro canto, un brano (Passione ferita) di chiara marca rotiano-felliniana (“La strada”, nello specifico), mentre in un paio di episodi (fra i più ampi e significativi del lotto) è all’opera il quintetto pan-jazzistico del bassista Pierluigi Balducci (con Luciano Biondini, fisarmonica, Leo Gadaleta, violino, Antonio Tosques, chitarra elettrica, Giuseppe Berlen, percussioni). Almeno una decina, sulle venticinque totali (ma quattro riprendono, su registri diversi, il tema conduttore), le tracce degne di nota. Altrove aleggia qualche riempitivo, ma si sa, in situazioni del genere la cosa è quasi fisiologica. Più che apprezzabili, di conseguenza, gli esiti complessivi.

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