Carlo De Bei
Ha ancora senso recensire un disco oggi? Personalmente credo di no, o meglio, proviamo a metterla così, dico che il confronto, il racconto, ha perso quella forza costruttiva che aveva in passato. È questa un’epoca in cui la musica è diventata liquida, anni dove ognuno può pubblicare senza filtri ciò che vuole dove vuole, del “chi sei tu per dirmi se questo disco è valido o no?”, che va avanti a colpi di passaggi radio-televisivi obbligati con più o meno riuscite campagne di advertising e dove i dischi sono diventati praticamente oggetti di antiquariato. Nella maggior parte dei casi, questo è quello che succede. Però ci sono dei casi in cui è ancora possibile imbattersi in dischi veri, vivi. Dischi che ci consegnano storie da ricordare. Musica che sopravvive nei locali che ancora hanno la forza e la voglia di essere luogo per la testimonianza di storie forse minori ma di straordinaria vitalità e importanza. Questo disco fa parte di questo ‘genere’ di musica.
Carlo De Bei nasce a Chioggia, la sua chitarra si è nutrita per anni di Blues e quando suona, quando scrive (non solo canzoni, ma anche poesie...), quando canta, restituisce questo sentire. C’è odore di salmastro, odore di palude. Il delta del Po, come il delta del Mississippi, restituisce un mondo che gira a velocità differente dalla contemporaneità. Un incedere lento, uno sguardo che sa ancora soffermarsi su una libellula che si posa su un fiore, un sorriso, le piccole cose della vita. Dettagli che fanno la differenza. A questo proposito, come accennavamo prima, ci piace ricordare che Carlo ha scritto anche due libri di poesie (‘Chiodo’ uscito nel 2010 e ‘Adesso dorme’ nel 2016), pagine e parole che diventano racconti che aiutano a cogliere ancora meglio la sua sensibilità di uomo e di artista.
Ma tornando al disco e ai contenuti dei testi, ci troviamo dentro storie di uomini, dei loro dubbi, le loro sofferenze; a volte anche la rabbia per un mondo che sta smarrendo i valori di un tempo. Un mondo che si sta perdendo in un bicchiere d’acqua. Ma tra le righe Carlo ci mette anche tanta speranza. La scelta poi di cantare nel proprio dialetto è vincente. Ad un primo ascolto sembra quasi cantato in inglese perché il veneto della laguna è una lingua tronca, agile. Essenziale. Il suono è bellissimo, delle parole certo, ma anche il fatto che il disco è stato registrato davvero bene. Mi riferisco alle voci, alle chitarre a quell’accenno di percussioni che riportano alle atmosfere down home di certe registrazioni del passato ma con una qualità audio decisamente fresca e contemporanea.
I brani che mi sono rimasti negli occhi al primo ascolto sono: Cortelo, Soraman, No xe pianzare, La luna che cascheva, Garbin, Quelo che me serve e Dame i schei indrio. La scelta di includere nel disco versioni alternative di alcuni brani mi ricorda tanto certi dischi di blues, dischi di un passato non recente ma che hanno fatto la storia di questa musica. Ma qua dentro il blues non è l’unica cosa che potreste trovare. Ci trovate una parte di voi, quella parte che la contemporaneità sta cercando di cancellare. E se questo è quello che sta succedendo, questo disco è la prova che il sistema non ci sta riuscendo (o perlomeno è riuscito solo a ferirci…). Carlo de Bei, tra le altre cose, è stato per anni chitarrista di Mango. Carlo non è una casualità. Sa scrivere testi, musiche e sa interpretare.
Ha ancora un senso recensire un disco oggi?
Ascoltate Garbin e ditemi se non ho fatto bene a segnalarvelo.
https://www.facebook.com/carlo.debei.3
https://www.youtube.com/channel/UCovC_Tj2XDdscHJZPti9qcg
01. Un altro giorno
02. Cortelo
03. Soraman
04. No xe pianzare
05. Messo in parte
06. La luna che cascheva
07. Garbin
08. Se ciavemo l’istà
09. Quelo che me serve
10. Dame i schei indrio
11. Un altro giorno (Alt.Take)
12. Cortelo (Alt. Take)
13. Messo in parte (Alt. Take)
14. Quelo che me serve (Alt. Take)