Dente
Hotel Souvenir, l’ottavo album di Dente, al secolo Giuseppe Peveri da Fidenza, più di quaranta ma meno di cinquant’anni, un luminoso passato alle spalle nella confort zone dell’indie, è fuori dallo scorso aprile, per INRI/Virgin Music Las, ed ha già fatto parecchia strada con il singolo Discoteca solitudine, ancora oggi in rotazione sulle radio più ascoltate. Dieci brani composti, scomposti e ricomposti lungo il lasso di un decennio, selezionati dall’autore fra oltre trenta tracce. Non esattamente un concept quindi, eppure la selezione è parsa felice, per la coerenza di fondo e le assonanze fra le varie canzoni, che hanno tutte (meno una, forse) un denominatore comune: Dente si guarda indietro e costruisce un disco sulla propria solitudine e sul passare del tempo, sulla sua traiettoria e sull’immutabilità della propria condizione umana.
Hotel Souvenir è un lavoro maturo, sul quale l’autore ha riflettuto e fatto scelte, anche qualche marcia indietro rispetto al suo ultimo album omonimo, nel quale largheggiò, forse eccedendo, in elettronica, chitarre elettriche comprese, e nell’impostazione vocale, esplorando percorsi non propri. Ecco, con questo disco Dente ritorna alla chitarra acustica, ad un’intonazione più naturale e spontanea, ad una densità di contenuti che fa di Hotel Souvenir una sorta di ponte ideale fra i lavori passati, di impronta alternativa e indipendente, ed una prospettiva artistica più propriamente entro i canoni della canzone d’autore, più realistica e consapevole.
Un disco che, come dicevamo prima, sembra girare intorno ad alcuni cardini ben definiti: la propria solitudine, il flusso dei ricordi, il senso del tempo che passa, il peso delle scelte fatte e non fatte (anche non scegliere è una scelta), l’eco malinconica dei rimpianti. C’è davvero tutto questo, in termini tangibili, profondi, marcatamente autobiografici, in questo riuscito lavoro, ma attenti a trarre conclusioni fuorvianti. Dovesse sfiorarvi il dubbio che sia un disco pesante, ripetitivo, palloso insomma, sia chiaro che non è così, tutt’altro. Questo è un lavoro profondo e ben fatto, che si giova delle straordinarie capacità di scrittura dei testi, in cui Dente è maestro, per l’ironia, a tratti sarcastica, l’essenziale semplicità ed insieme la ricercatezza e il disincanto delle sue strofe, spesso in rima, eppure di sorprendente, spiazzante freschezza e centratura. E anche perché è un disco di canzoni che ti restano addosso, per la loro cantabilità, per gli arrangiamenti semplici, anche un po’ sporchi, che fanno risaltare l’impronta fotografica dei brani, dieci spaccati di vita (nove trascorsi, uno in progress), dieci vignette, dieci condizioni di stato, con le proprie ricorrenti emozioni, i disagi, il senso di incompiutezza, frutto di un lavoro introspettivo di scavo senza indulgenze nel proprio personale divenire entro gli argini del tempo che va, mutuando qua e là aspetti del pensiero di Leopardi sulle “rimembranze”, nel percepire che nel ricordo c'è qualcosa in più, di struggente e suasivo, che rende piacevoli, diciamo anche sexy per attualizzare il concetto, anche le cose negative ed i propri fallimenti.
E poi Dente riesce sempre a sorprenderci, disseminando tre tracce che segnano, pur nella coerenza dei contenuti, una netta discontinuità di armonie sonore e di genere: è il caso di Discoteca solitudine, un brano autenticamente da disco music, che se uno dovesse canticchiarlo sulla spiaggia distrattamente, o ascoltarlo in radio, potrebbe addirittura percepirlo come allegro e spensierato, e invece è pieno di fantasmi, o di Allegria del tempo che passa, una ballata in bossa nova dalla quale si disvela “questa stupida paura di star bene”. Che dire poi di Il mondo con gli occhi, un pezzo sarcastico che prende posizione sulle banalità orgiastiche del featuring in quei pezzi hip hop in cui si esibiscono tanti rapper insieme, rappresentando una “scena”. E allora Dente tira a esagerare, infilando ben sei ospiti in un unico brano (Fulminacci, Giorgio Poi, Colapesce, VV (all’anagrafe Viviana Colombo), Ditonellapiaga e Dimartino) e costruendo un testo volutamente scanzonato, banale e scontato, come a dire, se è questo che cercate, eccovi accontentati…
Tornando seri, va detto che il disco è pieno di brani intensi e ben costruiti, da Dieci anni fa, il racconto di un incontro fortuito con una propria ex dieci anni dopo, intriso di nostalgia, con una vena di rimpianto per ciò che poteva essere e non è stato, a Cambiare idea, fotogramma di un addio e consapevolezza del dover piangere tanto, se sarà tutto un altro mondo, e se dovrò cambiare idea, ma anche del dovere di prendersi cura di sé. Un piccolo gioiello è anche L’abbraccio della Venere, che gioca sulle difficoltà di comunicazione nei rapporti di coppia, e poggia su un testo simmetrico e su due identiche declinazioni verbali: parlerei/delle cose che ci sono tra di noi/e di come scavalcarle, e piangerei/per tutto ciò che non c’è stato tra di noi. Infine, l’ultima traccia dell’album, la dolcissima Un viaggio del tempo, apre il cuore a tenui speranze, ma qui, nella finzione artistica, è l’autore che parla ad un ragazzo, cercando di infondergli quella fiducia e quei consigli che un adulto può e deve trasferire alla generazione successiva: se non capisci ciò che senti/metti su un foglio i tuoi sentimenti/e urla quanto vuoi/e ridi più che puoi/ci guarderemo negli occhi prima o poi.
Ci vuole una sfrontata onestà per immergersi nel passato e fotografare la propria solitudine. Serve coraggio per abbracciare i propri fallimenti e renderli sexy, e una buona dose di ironia per poterci sorridere su, tra colazioni al veleno e notti senza fine. Hotel Souvenir non sembra un disco ordinario, di passaggio, ma un oggetto artistico robusto e ben forgiato, destinato a restare, a percorrere col suo passo l’inesorabile incedere del tempo sui cui cerchi concentrici è stato costruito.
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01. Dieci anni fa
02. Cambiare idea
03. Allegria del tempo che passa
04. Discoteca solitudine
05. Un anno da dimenticare
06. Presidente
07. La vita fino a qui (feat Post Nebbia)
08. L’abbraccio della Venere
09. Il mondo con gli occhi (feat. Fulminacci, Giorgio Poi, Colapesce, VV, Ditonellapiaga, Dimartino)
10. Un viaggio nel tempo
Testi e musiche: Giuseppe Peveri (Dente), Peveri, Nardelli (tracce 2 e 4) Peveri, Levy, Plentz (traccia 3);
Arrangiamenti: Dente e Federico Nardelli
Registrazione: Federico Nardelli al NASA Studio, Milano
Missaggio: Ivan Antonio Rossi al 8brr.rec Studio, Milano
Mastering: Giovanni Versari a La Maestà Mastering Studio
Illustrazioni: Andrea Ucini