Una voce scura di cantautore, una miscela di suoni e storie che non lascia spazio alla noia e un disco con un titolo strampalato.
I nasi buffi e la scrittura musicale segna l’esordio di
Gerardo Balestrieri che, in realtà, non è affatto un debuttante. Polistrumentista, compositore e “cantante apolide” (ama definirsi così, visto che è nato in Germania da genitori irpini), in questo album ha raccolto ben dieci anni di attività, in giro tra concerti, festival, teatri e televisione. Più che un esordio dunque, questo sembra un traguardo.
Dodici brani frutto del lavoro di un uomo che sente di appartenere a più parti del mondo. Una sorta di viaggio musicale attraverso terre lontane. C’è il blues (
Blues del Putagè), il tango, il jazz, la musica popolare, le pennellate “maudit” della canzone francese (
Saria,
Quando il diavolo t’accarezza), brani che richiamano alla realtà musicale del centro Europa (
Palamakia,
Barcelone). Balestrieri è un artista a tutto tondo; nei suoi testi paradossali, incantatori e quasi incuranti di metrica e melodia, si capisce quanto abbia influito la sua esperienza universitaria all’Orientale di Napoli, ma anche le sue scorribande al fianco di musicisti e attori di teatro da cui – racconta – ha imparato mimica e gestualità.
La sua vocalità calda e profonda ricorda il cantautore per antonomasia, Fabrizio De Andrè. Gerardo ha sogni da realizzare, magari duettare con qualche artista con cui reinterpretare brani dell’album. E come lui stesso ha dichiarato, tra questi c’è Tom Waits nel
Blues del Putagè. Ma non solo: in una recente intervista Gerardo si è lasciato andare ad un ultimo, bizzarro desiderio, che è quello di reinterpretare
Palamakia con Serena Dandini che lui definisce il suo “sogno erotico”.
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