Etta Scollo
Forse la lontananza dalla sua terra natale (vive
abitualmente in Germania) alimenta in lei il desiderio di cantare la Sicilia e
di indagare nel suo patrimonio culturale, e forse proprio il fatto di trovarsi
distante dà alle composizioni musicali di Etta
Scollo quel sottile alone nostalgico che peraltro tanto si addice alla
poesia araba classica. Questo ennesimo omaggio della cantautrice siciliana alla
sua terra, infatti, si basa su alcuni “canti ispirati alla poesia
arabo-siciliana dell’IX secolo”, tradotti in italiano da grandi poeti.
Il mondo arabo qui cantato è quello del palazzo
della Zisa (come doveva essere), dei giadini lussureggianti delle regge
mussulmane, degli audaci arabeschi: quello di un popolo che ha portato la sua
sapienza, la sua scienza e la sua cultura sopraffina nell'Europa occidentale,
fino alla Spagna delle colonne d'Ercole, confine del mondo conosciuto, e che ha
lasciato un segno indelebile anche nel centro del Mediterraneo, in quella
Sicilia la cui identità ha ancora molto a che vedere con la loro dominazione.
Risalire ad un’epoca di splendore rende certo più amara la consapevolezza del
degrado attuale, dell’isola e della penisola, ma è a modelli “alti” che ci si
deve rifare per cercare di ritrovare le altezze di cui l’uomo è capace.
E dunque fa piacere riscoprire questi versi intrisi
di malinconia, di meraviglia, ma soprattutto di una grande intensità emotiva.
Una passione amorosa che fa fremere di paura («Un solo bacio su quella bocca /
apre il sentiero della paura»), un’attrazione irresistibile per l’aitanza del
giovane amato (E’ così snello), la capacità di soffrire e di godere di
un amore o di una terra e delle sue bellezze.
Quelle bellezze ricordate da Ibn Hamdis, il più importante poeta
arabo-siciliano: «Sicilia mia. Disperato dolore / si rinnova per te nella
memoria / Giovinezza / Rivedo le felici follie perdute / e gli amici splendidi
/ Oh! Paradiso da cui fui cacciato!». E il dolore dell'esule si fa ancora più duro
in Fin quanto durerà il mio esilio, amaro canto dell'assenza e della
distanza.
Proprio a Ibn Hamdis è dedicata l’unica
composizione non araba del disco, una poesia in siciliano di Jano Burgaretta,
che traccia un disincantato paragone tra la Sicilia che fu e quella che è.
Nostalgica e tormentata come Janchi, dello stesso autore arabo, già
interpretata anni fa dall’ensemble Milagro Acustico. Allora il gruppo aveva
però cercato di riprodurre anche dal punto di vista strumentale un'atmosfera
mediorientale. Scollo opta invece per una scelta più colta e occidentale, in
cui sono sì presenti strumenti della tradizione (suonati da Fabio Tricomi) ma
con un gusto decisamente classico, anche nella maniera di cantare. La voce
tenue da soprano è pulita e cristallina, e in certi punti ricorda quella
“antica” dell'Argentinita, forse anche per una nascosta affinità tra repertori
che hanno a che vedere con influssi orientali.
Oriente e Occidente si uniscono in questo disco
grazie anche all'apporto di ospiti di tutto riguardo, come Franco Battiato
(che qui torna ad immergersi nella parte della sua terra che più lo intriga, ma
che oggi ha meno spazio nella sua produzione), Giovanni Sollima (tra i
più quotati e versatili violoncellisti contemporanei, che intavola con Monika
Leskovar uno struggente dialogo di corde), Nabil Salameh (suadente
voce dei Radiodervish, gruppo che è già di per sé un'unione tra oriente e
occidente, e che già si era cimentato nella rilettura di un classico della
letteratura araba).
In un periodo storico come il nostro, che sembra
dominato dalla paura dell'altro, dello straniero, soprattutto se questo è
identificato in modo più o meno confuso come "arabo", questo lavoro
di Etta Scollo, già di per sé artisticamente interessante, assume un significato
anche culturalmente rilevante, perché ricorda che è stata possibile – e dunque
può esserlo ancora – un’epoca in cui davvero ci sia tolleranza e convivenza tra
popoli di etnie e religioni diverse.
01.
Preludio
02.
Un solo bacio
03.
Corro con te
04.
Calice
05.
A Ibn-Hamdis
06.
Aiuta il liquore e ti dà gioia
07.
Una luna
08.
È cosi snello
09.
Fin quando durerà
10.
Sicilia mia
11.
Janchi
12.
Non credete
13.
Apparve (trilogia della visione)
Etta Scollo: voce
e chitarra
Wroclaw Score
Orchestra
Berlin Pops Orchestra
Sebastiano Scollo:
liuto rinascimentale
Fabio Tricomi:
oud, kemenchè, mandolino, chitarra romantica bendir, daf, tombak, nej
Andreas Henze:
contrabasso
Ferdinand von Seebach:
pianoforte e trombone
Il quartetto Ottava
Nota
Marcello Enna:
violino
Alberto Giacchino:
violino
Paolo Giacchino:
viola
Daniela Santamaura:
violoncello
Franco Battiato:
canto, pianoforte
Giovanni Sollima
e Monika Leskovar: violoncelli
Nabil Salameh:
canto, recitazione
Markus Stockhausen:
tromba
Alain Croubalian:
canto
Cécile Kempenaers:
canto
Paola Mandel:
recitazione