Enrico Brizzi & Numero6
Nato dall’esperienza reale del viaggio fra Canterbury e Roma, effettuato tra la primavera e estate del 2006 da Enrico Brizzi, Il Pellegrino dalle Braccia d’Inchiostro è adesso anche un disco, fotografia fedele di un reading che lo scrittore bolognese ha portato in giro con i genovesi Numero6
Ora, su Enrico Brizzi, scrittore “giovane” a vita,
caso letterario degli anni ’90, e attivissimo narratore, viaggiatore e
osservatore in questo ultimo decennio, c’è davvero poco da dire.
Invece sui Numero6 di Michele Bitossi qualche parola dobbiamo spenderla, anzitutto perché
il suo canzoniere, ormai decennale (e che annovera l’importante esperienza con
i Laghisecchi) conta episodi di elevatissimo spessore. Gli ultimi due lavori in
particolare, Dovessi Mai
Svegliarmidel 2006, e l’ep Quando Arriva La gente Si
Sente Meglio
del 2008, contengono grandi (e in alcune casi grandissime) canzoni di rock
d’autore come in Italia si sentono di rado. In particolare, uno degli episodi
migliori dell’ep dello scorso anno era Navi Stanche di Burrasca, prima traccia reale
della collaborazione con Enrico Brizzi, in veste di autore del testo. “Vizietto”,
quello di collaborare con uno scrittore, che il musicista genovese (e genoano)
ha ripetuto anche con il progetto Nome,
accanto a Matteo B. Bianchi, per adesso intestatari di un unico,
interessantissimo episodio, dal titolo Le Cose Succedono.
Tornando al Pellegrino, di solito operazioni come queste, e cioè reading nati come spettacoli dal vivo e successivamente compressi in un dischetto per l’ascolto domestico, rischiano di deludere. Diciamo subito che non è il caso di questo lavoro, che invece scorre benissimo, come fosse un semplice disco di canzoni. Le parti recitate non sono mai ostiche, e il lavoro della band è davvero interessante. La bella voce di Michele Bitossi è al servizio dei refrain, e funge da ottimo contraltare alla voce narrante dello scrittore. E così, dopo un paio di ascolti ti sorprendi a canticchiare le canzoni del Pellegrino. Il sound è pastoso, caldo, quasi cinematico, perfetto per accompagnare, e in alcuni casi trascinare, l’ascoltatore in un viaggio molto fisico e coinvolgente lungo la Via Francigena, la strada che nel Medioevo i pellegrini percorrevano per arrivare a Roma, tremila chilometri che Brizzi ha percorso a piedi in 81 giorni. E a ben vedere, il disco colpisce proprio per questo, dato che sfugge al clichè del sottofondo “autoriale” in luogo di un approccio pop-rock decisamente d’impatto. Belle le chitarre taglienti, così come interessante è il lavoro fatto dalle tastiere e dai synth di Filippo Quaglia. Un sound decisamente contemporaneo, dunque, e mediamente più abrasivo di quello che possiamo ascoltare nei dischi dei Numero6 e che ha il suo manifesto in Bernhard Hartmann, punk-funk a manetta e episodio cruciale del disco, insieme forse alla chimica La Ballata di Ben, melodia molto Bitossiana su un tappeto parecchio electro.
Un bel lavoro, dunque, naturale compendio dell’omonimo romanzo di Brizzi, ma anche un disco di ottimo rock indipendente italiano, nel quale la componente letteraria è solo uno degli aspetti di quella che potremmo definire un’opera rock, qualcosa di trasversale tra musica e letteratura per certi versi inedita nel nostro paese.
01 - Intro
02 - Sulla strada da quaranta giorni
03 - Leo Pagani & il Longobardo Elvio
04 - La porta dell’abbazia
05 - Bernhard Hartmann
06 - Peggio delle piattole
07 - La ballata di Bern
08 - Un uomo tenace
09 - Millwall brick
10 - Samaele l’angelo caduto
11 - Le promesse che facciamo in viaggio