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I Cani

Il sorprendente album d’esordio dei Cani

Caso discografico dell’anno o grande bluff per «vedere di nascosto l’effetto che fa»? Giustizieri armati di un realismo acuto per una scena a cui pure si offrono, ricalcandola con un’intelligente e dissacrante decalcomania dall’esterno, ma anche dandole tutto ciò che cerca, affinché li ripaghi con i tipici giudizi da next big thing, a volte facilmente elargiti, quale quello autoironicamente arrogante del titolo dell’album, quasi lungimirante a colpo sicuro? Biografi casuali/autobiografi spontanei dei tipi di più generazioni degli anni Zero o furbi contrabbandieri di immagini definitive che mancavano per ricomporre la cartografia sociale (al limite della satira) dell’indie, del giornalismo musicale (tra radical-chiccherie e narcisismi internettiani), degli hipster-ici con i loro disagi ostentati e le loro pose, delle abitudini, dei tic, degli hobby strumentali e velleitari, delle contraddizioni della società adulta e soprattutto “giovane” dal 2000 ad oggi?

Chissà, forse, al di là delle dichiarazioni ufficiali da progetto un po’ random, sono tutto questo contemporaneamente i Cani, moniker del progetto solitario di un artista romano volutamente avvolto nel mistero (Niccolò Contessa?), da poco a capo di una live band altrettanto misteriosa, che la rete in meno di un anno, dopo un paio di singoli, ha reso progetto di culto e condotto all’esordio discografico ufficiale. Musicalmente i Cani propongono un synth-pop a volte così lo-fi e intimista da apparire da cameretta: si ascolti ad esempio la breve Il Pranzo di Santo Stefano, che nel fulminante finale stempera l’accenno al tradimento con una lievità à la Max Gazzè, uno dei pochi modelli italiani dei Cani per versi ironici e cantato piano. In altri casi il genere ingloba invece ritmiche post-punk con bassi vagamente smithsiani (ad es. ne Le coppie o nell’icastica Perdona e dimentica), oppure passa dal suscitare il pogo sotto il palco a scivolare quasi nei club alternative dance dell’amato James Murphy. Il che non stupisce, se si pensa che ben avvezzo ai dancefloor è il duo electro-funk da cui proviene Contessa, i Tavrvs. I synth frusciano eterei e onirici (l’omaggio Wes Anderson), guizzano lucenti, gorgogliano distorti come nelle hit ballabili degli anni ’80, fluiscono come sangue digitale fino a rimbombare nel noise più assordante. L’ascesa dei Cani, la coerenza di un disco omogeneo e di uno stile quasi ossessivo ha ricordato il caso Vasco Brondi, ma alla sua estetica del degrado in versi vomitati qui si sostituisce una prosa brillante, da agili racconti da blog contemporaneo, ricchi di aforismi provocatori e netti, a volte quasi “spietati”, e farciti di ironia gustosa (Le coppie, Perdona e dimentica e Hipsteria sono da antologia in questo senso).

Non prediciamo il futuro dei Cani: vedremo come sapranno filtrare il domani. Per ora sono così immersi nell’oggi, nelle sue manie e consuetudini che bisogna senz’altro ascoltarli.  

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In dettaglio

  • Anno: 2011
  • Durata: 36:55
  • Etichetta: 42 records

Elenco delle tracce

1.Theme From the Cameretta 2.Hipsteria 3.Door Selection 4.Velleità 5.Le coppie 6.Il pranzo di Santo Stefano 7.Post punk 8.Roma Nord (feat. Cris X) 9.I pariolini di diciott’anni 10.Perdona e dimentica

11.Wes Anderson 

Brani migliori

  1. Hipsteria
  2. Perdona e dimentica
  3. Wes Anderson