Giuseppe Righini
Sono almeno due settimane che questo nuovo disco di Giuseppe Righini mi occupa il lettore e da lì non se ne vuole uscire. Il peggio è che, ora che mi trovo a parlarne, mi risulta comunque difficile spiegare con chiarezza i motivi per cui questa sua nuova fatica mi piaccia e mi attragga tanto. Comincerei con il dire che non è un disco di canzone d’autore in senso “classico”, anzi si discosta molto dal panorama italiano, e neppure si può definire un disco pop: semmai è un’originalissima miscela di reminiscenze personali dello stesso Righini che spaziano dalla psichedelia alla new wave, dalla canzone d’autore al pop.
Per chi avesse già ascoltato il suo disco d’esordio Spettri sospetti, lo scarto è sicuramente notevole, soprattutto a livello musicale, perché qui riemergono con forza i fantasmi fino ad ora custoditi nell’armadio musicale di Righini. Da questo punto di vista è decisamente più anglosassone che italiano, e sarà forse anche per questo che non mi capacito più di tanto del fatto che mi convinca in pieno, visto il mio abituale e, forse prevenuto, scetticismo verso un certo modo di far musica. Eppure ci sono brani come Satellite che, a mio parere, hanno un fascino irresistibile, saranno quegli «echi di onde radio» o i versi «polvere stelle / alla fine del cosmo / fanno musica / registriamone il tempo / risentiamola / rotta senza ritorno / percorriamola / questa notte non torno / ci si vede là», sopra un crescendo di chitarra elettrica che finisce per spegnersi come un estremo afflato. Provate poi ad ascoltare la canzone I fiori di plastica sono per sempre, che già nel titolo è un’intuizione poetica di spessore (io la trovo fantastica), per non parlare della successiva In apnea, brano esistenziale che ondeggia quasi fosse stato girato al rallentatore, in cui suoni “fluidi” intervengono sul pulsare delle percussioni fino a chiudersi su un’altra intuizione: «sai che per toccare il fondo ci vorrà giusto l’eternità». Al centro dell’intero disco, se consideriamo che la traccia dodici raccoglie un brevissimo dialogo, c’è la canzone E mio padre se ne vola, quella che più di tutte le altre mi ha colpito all’interno della raccolta La leva cantautorale degli anni zero: è forse il brano più immediato dell’intero lavoro, perché riguarda i ricordi del distacco terreno del proprio padre.
È come se fosse un grande sogno ed ancora una volta sono molto belli i versi conclusivi: «mia madre me lo dice anche se tace / per noi non c’è né ci sarà mai pace / finché non ridaremo viva luce / al sogno di tuo padre la sua voce». Una canzone tanto affascinante quanto sfuggente è poi Marta, semplicemente costruita sul ritmo di snap fingers (schiocchi di dita, per chi come me è abituato a scrivere come parla), accordi di basso e tocchi di glockenspiel, è una piccola fiaba un po’ come quelle scritte dai fratelli Grimm, perché non sembra per nulla finir bene: «Marta s’inchina per quella bambina / e resta col naso all’insù / l’ultima volta / l’ultima volta che la guarderà / l’ultima volta / l’ultima volta / l’ultima volta si addormenterà / c’era una volta / l’ombra di Marta / c’era una volta / c’era una volta ormai non c’è più».
Ho citato queste canzoni, ma è l’intero disco nel suo insieme ad essere più che una conferma della maturità stilistica raggiunta dall’artista riminese un caleidoscopico mondo letterario sospeso “in apnea” tra vita e sogno, illusione e realtà (ancor più alla luce dei diciassette brevissimi racconti che accompagnano il cofanetto), il tutto accompagnato dalle splendide illustrazioni di Alexa Invrea.
01. Anima d’animale
02. I fiori di plastica sono per sempre
03. In apnea
04. Satellite
05. Non ho tempo
06. E mio padre se ne vola via
07. Sul grande pendaglio
08. Marta
09. L’ultimo sogno di Arthur Rimbaud
10. La luce del sole alle sei di pomeriggio
11. Si qui ora
12. Kreuzberg sonata
Giuseppe Righini:voce, synths Fulvio Mennella: basso elettrico, bass synth, armonium, synths, programmazioni Massimo Marches: chitarra acustica, chitarra classica, chitarra elettrica, e-bow, pad guitar, percussioni, organo, bottiglie, pentole, carillon, basso elettrico (6) Diego Sapignoli: batteria, vibrafono, glockenspiel, percussioni, percussioni trattate, synth, finger snapping