Petrina
In doma, fin dal titolo, sembra voler inseguire una vocazione di liberazione da etichette o incasellamenti predigeriti, da riti convenzionali e modaioli, per proporre un’alternativa “viva”, non mediata o “addomesticata”, per restituirci nel breve lasso di un disco una poesia e una verità che tonnellate di sovracostruzioni e corruzioni musicali, artistico-commerciali e sociali hanno sotterrato.
Barbara Petrina - è evidente anche solo sfogliando il booklet - è un’artista dalle risorse praticamente illimitate: cantante precisa e di talento, polistrumentista (buona parte del disco è suonata da lei medesima, che si è occupata anche di arrangiamenti e produzione), sperimentatrice del corpo, in bilico tra teatro e danza. Questa potenzialità espressiva è tutta canalizzata in una “decostruzione coerente” dei linguaggi, inteso sia come idioma, oggetto di gioco e mescolamento, che come forma musicale, frullata e rimontata nei generi e nella struttura canzone.
Infatti, le dieci canzoni di questo In doma sono tutte piccole suite, sfuggenti e avventurose anche quando apparentemente semplici. Ci accoglie l’acquerello per organetta e voce di Babel Bee, per poi lasciarci all’inafferrabile frenesia di A ce soir, ibrido incerto di ritmiche quasi trip-pop e refrain surf, e alla pazzia di She-Shoe, sorta di mini-autobiografia di scena, di invito ad abbandonarsi questa continua frantumazione e ricostruzione testuale. Fuori Stagione suona come una ballata impura, coniugazione in chiave “petroniana” del cantautorato italiano, SMS zompa divertita dalla filastrocca zoppicante all’impazzito ritornello-mantra in ungherese, Notte Usata si lancia verso una metamorfosi continua, guidata da un testo che sembra costruito per libera associazione, mentre il felpato jazz da piano bar di Pool Story dilata una macabra storia d’infanzia, resa ancor più inquietante da parentesi frenetiche.
Il disco chiude con la sospesa Ghost Track, una lunga immagine in assenza di percezione, seguita, quasi a creare un ossimoro, dal giocoso funky-progressive di Asteròide 482 (meteorite realmente esistente, e, “causalmente”, battezzato “Petrina”), e Sounds-Like, quasi un poliedrico manifesto d’intenzioni artistiche – e con qualche riconoscibile ammiccamento autobiografico.
In doma è la concretizzazione di una volontà artistica forte, che rende delizioso lo spaziare in così tanti generi e linguaggi proprio grazie all’indiscutibile maestria tecnica. Ma tanta debordante inventiva è offuscata dalla sfuggevolezza di questo decostruzionismo. Insomma, In doma è un disco elitario, volontariamente sofisticato, “difficile”, ma dal retrogusto autoreferenziale, di “sperimentazione per la sperimentazione” e non per la “comunicazione”, un corto circuito di talento e idee.
01. Babel Bee
02. A Ce Soir
03. She-Shoe
04. Fuori Stagione
05. SMS
06. Notte Usata
07. Pool Story
08. Ghost Track
09. Asteròide 482
10. Sounds-like
Petrina: voce,
organetta, piano, Rhodes, tastiere, toy piano
Alessandro Fedrigo: basso
acustico, basso elettrico, voce
Gianni Bertoncini:
batteria, voce, stylophone.
Emir Bijukic: musica
aggiuntiva in 05, krakdoo in 07.
Elliott Sharp: chitarre
in 07.
Amy Kohn:
accordions in in 08.
Ascanio Celestini: annuncio
radiofonico in 09.