Working Vibes
Aria di autunno caldo in casa Working Vibes. Far uscire un disco di torrido reggae nella stagione degli ombrelli, con abbinate vaporose love songs da palme e canapa, sembra già un primo atto controcorrente. Questo è lo spirito di Italia solo andata, terzo album del collettivo di origine tosco-pugliese, giunto a quella che si profila come la prova della maturità, un concept sul percorso “di andata” ostinata intrapreso dalla band con e dentro l’amato/odiato Belpaese. L’entrata in scena dei maghi Finaz (Bandabardò) e Petricich (Negrita) in cabina di regia per la produzione fa presumere che stavolta si fa sul serio, intenzione confermata dalle succulente collaborazioni di titani come Roy Paci, Denis Bovell e Rakin’Alpha. Ma quando si parla di Working Vibes sappiamo come la denuncia sociale si accompagna sempre a un’inossidabile spirito d’irriverenza, di ironia solare che fa capolino anche nei breviari di protesta più concitati. Del resto la commistione di linguaggi e umori diventa regola in un album che si muove come un’Italia reale e “viaggiata”, grondante malcostume politico e sociale, voglia di riscatto generazionale, e romanticismo genuino (seppur di spessore ancora tardo-adolescenziale). Parallelamente a livello di sound il meltin’pot di stampo reggae si distende in un catalogo di grooves screziati, mutandosi dall’elettro-dancehall di Pirati Italiani all’hip-hop in salsa urban di Nuovi interni, passando da Le scelte che fai, bonaria paternale ska-surf sull’incertezza collettiva e ambizioni professionali-esistenziali precarie («io mi chiedo come mai/ la mia generazione è più povera che mai/ siamo ricchi di idee da lasciare in un cassetto/ la paura di un futuro è di non avere un tetto/ figurati se penso a un figlio»).
Tuttavia il brano più riuscito risulta essere anche uno dei più disimpegnati e semplici, il levigato rock steady di Baby, aspirante secondo singolo dopo l’apripista northern soul Io vorrei, divertito inno agli involontari ménage à trois, già divenuto tormentone demenziale della stagione.
Rimane ancora una sorpresa, anzi due: la cover con ghiaccio e violini del capolavoro di Piero Ciampi Te lo faccio vedere chi sono io, completamente potenziata e smaltata in versione reggae (con la quale il gruppo si è aggiudicato nel 2010 il Premio Ciampi Città di Livorno per la miglior cover dall’autore) e una preziosa revisione dub del brano Ogni raggio, già presente a metà album e qui fatta sbocciare in tutto il suo potenziale di contemplativa odissea coreutica.
Il viaggio di andata può dirsi compiuto, e una copertina strepitosa (con una piantina metro-concettuale del viaggio intrapreso) è pronta a farsi manifesto: adesso manca solo un atto secondo “di ritorno”, un back to roots goethiano per risvegliare la coscienza morale del paese e conferire meritato riconoscimento ai Working Vibes.
01. Io Vorrei
02. Show Business
03. Pirati Italiani
04. Le scelte che fai
05. Resto in piedi
06. Ogni raggio di sole
07. Baby
08. Momenti buoni
09. Nuovi interni
10. Ultima fuga
11. Te lo faccio vedere chi sono io
12. Ogni raggio di sole (Dub version)