Valentina Dorme
Di quando certi versi se fossero
stati detti allora sarebbero state bellissime parole d’amore. Di quando poi
rimane solo un sfogo rabbioso verso un tu che non risponde. «Se dici affitto
questo motel in eterno», se l’avessi davvero affittato per sempre non saresti
diventata Un nome di fantasma. Il
terzo lavoro ufficiale dei Valentina
Dorme è un arrivo senza ritorno. Titolo: La carne., punto. Perché l’amore è la carne, e l’amore muore,
finisce, come la carne appunto, come Sergio Castellitto e Francesca Dellera
nell’omonimo film di Marco Ferreri (a
cui è dedicato anche un brano) che si rinchiudono in casa e mangiano e fanno
l’amore. Ma poi finisce.
Mario Pigozzo Favero si conferma
come uno dei migliori songwriter del nostro Paese, uno dei pochissimi da cui
aspetteremmo con voglia un libro, perché la precisione del suo linguaggio, la
rapidità ficcante e disperata delle sue descrizioni (Pavese, Carver, Trevisan)
meriterebbero anche una pagina bianca da riempire, se non fossero già queste
undici canzoni undici pagine le cui parole lasciano ombre sotto le quali si allunga,
sentimentalmente esausta, una biografia a denti digrignati per un amore finito.
E se questo è il disco migliore
dei Valentina lo è anche grazie alla produzione di Giulio Ragno Favero – che puntualizza il suono del gruppo veneto
affilandone le chitarre e imbastendo le ritmiche di legno e pelle – e al lavoro
sugli arrangiamenti di Nick Manzan e
Fabio De Min dei Non Voglio Che
Clara. Un nome di fantasma marcia
poderosa su un blues popolare che in dialetto romano sarebbe degli Ardecore; Benedetto davvero rulla elettrica come
una rotativa di solitudine, la solitudine di chi seduto ai tavolini di un bar
la guarda passare e affoga nell’alcool e «in tutto l’amore che c’è / e che
trovi lungo le parallele della tangenziale». A metà tracklist, Giulia Bentley in estate avvia il giro
di boa con un crescendo di chitarre, viola e violino sulla cadenza asciutta
della batteria, prima che I girasoli, la
più classica ballad in stile Valentina, sia anche il più chiaro esempio della
sopracitata potenza letteraria di Pigozzo Favero («quando parli di tuo padre /
guardi me / e poi guardi altrove»): lui con la sua geografia inequivocabile (la
tante strade di Treviso citate nei brani), le immancabili citazioni filmiche
(Ferreri e Truffaut in Trieste Centrale),
la devianza più sensuale che morbosa di certi quadri (Olimpiadi salesiane) che lasciando soprattutto posto alla collera
delle ferite non manca comunque di comparire.
Su tutto poi, probabile chiave di
volta de “La carne.”, la doppietta finale de La buonanotte in francese – il minuto e quaranta che nessuno
avrebbe mai voluto scrivere: «tu sei nella pancia tonda / nel vomito al mattino
/ nelle cose dette a fiumi» – e la
conclusiva dichiarazione di resa ed errore di Io non sono forte («un amore di emozioni poche / di troppe offese
che andavano urlate / dette invece sottovoce»). “L’amore non è bello” dice
Dente, “sicuramente muore” risponde Valentina.
01. Un nome di fantasma
02. Benedetto davvero
03. Il terzo uomo
04. Marco Ferreri
05. I girasoli
06. Giulia Bentley in estate
07. Trieste centrale
08. Siracusa e le stelle
09. Olimpiadi salesiane
10. La buonanotte in francese
11. Io non sono forte
Mario Pigozzo Favero:
voce, chitarra elettrica, chitarra acustica, cori
Massimiliano
Bredariol: batteria, percussioni, chitarra acustica, cori
Mario Gentili:
basso
Alberto Scapin:
chitarra elettrica, chitarra acustica
Fabio De Min:
synth
Nick Manzan:
violino, viola
Angelo Maria Santisi:
violoncello
Alberto Montesarchio:
synth
Mario Ballestracci:
armonica
Giulio Ragno Favero:
synth, chitarra, piatti, cori
Francesco Smania:
tromba, sax
Arrigo Pietrobon:
corno inglese