Il Disordine delle Cose
La giostra gira maestosa e struggente, in una girandola di contrasti: nei paesaggi islandesi mozzafiato dell’artwork in cui perdersi con lo sguardo e l’orecchio, ecco allora fiori colorati e bianco glaciale, prodigiose cascate e profondissima quïete, calore e ghiaccio, onde che si gonfiano tempestose e schiumose, da un lato, e distese di un placido celeste, dall'altro. Analogamente nelle quattordici canzoni del secondo album del Disordine delle Cose, registrate proprio in Islanda nello studio e sala prova dei Sigur Rós, troviamo suoni lunghi e dilatati (di violoncelli, organi e fiati) e tese ritmiche scalze e rock, voci secche ed umori da respirare, note di piano sontuose e morbide e chiaroscuri di basso, cantautorato dai suoni contemporanei, sobri e misurati, e post-rock di trame chitarristiche oniriche (si ascolti ad es. Improvvisazione n. 9 con i suoi colori cangianti).
La delicatezza dei testi intimisti e delle alchimie sonore rammenta a tratti ancora i Perturbazione, che hanno tenuto a battesimo la band novarese per il disco d’esordio (la registrazione dei fiati d’altronde in questo secondo disco, che il Disordine delle Cose ha prodotto e pubblicato per la propria neonata etichetta, è di Gigi Giancursi), mentre il respiro internazionale del sound levigato e la metrica di alcuni brani (Addio, La giostra) ricordano nuovamente la classe degli Amor Fou, ma la crescita della formazione piemontese è evidente.
In questo album incanti lievi di glockenspiel punteggiano arrangiamenti di archi maestosi: un respiro intimo si leva dallo spazio minimo di lettere e pensieri per risuonare in cieli sconfinati, culla di desideri in cui riposano ed insieme si agitano contraddizioni, promesse non mantenute, slanci e istanti, “permanenti” e rimossi (v. Al tuo ritorno, con un piano quasi da carillon in cui smarrire le impronte degli errori).
Non tutti i brani possiedono la stessa forza emotiva ed originalità musicale, ma convince il connubio tra minimalismo e impetuosità al contempo magistrale e discreta, piccoli luccichii infiniti di cristallo e dolci sfumature acustiche. Per la perfezione c’è tempo: intanto la traccia dello stile, ora più definita e chiara, è pregevole.
Quanto ai temi dei versi di Marco Manzella, il disco ci dondola in un’altalena di temperature e stati d’animo; in Autunno si chiude la porta ad ogni rischio e si serra il cuore nel gelo: «il freddo purifica e resto distante / ancora qualche passo da te». Si perdono «le foglie» e non ci si lascia più «accarezzare». Ma dalla triste stasi di schemi che dividono dall’amore in nome di un’astratta idea del bene, La giostra ti riconduce nella vertigine dei sorrisi, in un tumulto di archi (delle Amiina), che squarciano le certezze, e nel turbinio di una gioia che riporta alla spensieratezza dell’infanzia con fiati bandistici (gli stessi che in tutt’altra atmosfera consacrano la desolazione delle città senza mare ne La mia città).
L’incertezza approda ad un addio definitivo (Tolgo il disturbo), ma la condizione ipotetica («se è quello che vuoi / se non c'è posto per me nella tua vita») sospende appena l’amarezza nella dolcezza luminescente dei suoni. Come nell’indecifrabile sorriso delle onde.
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01. Moesfellsbaer
02. Addio
03. Sto ancora aspettando
04. Vorrei, potrei, dovrei
05. Mi sollevo
06. Al tuo ritorno
07. La giostra
08. La preda
09. Improvvisazione n.9
10. Marionette
11. Appena prima
12. Autunno
13. La mia città
14. Tolgo il disturbo
Marco Manzella: voci, chitarre, parole Luca Schiuma: pianoforti, organi, tastiere, orchestrazioni Alessandro Marchetti: basso, voci, chitarre, orchestrazioni Emanuele Sarri: chitarre, concept e grafica Vinicio Vinago: batterie, voci, percussioni Mattia Boschi: violoncello Amiina: archi in 05 e 07 Riccardo Brumat: violini in 04, 11 e 12 Giotto Napolitano: tromba Enrico Allavena: trombone Birgir Biggi Jón Birgisson: ingegnere del suono, mix Max Zanotti: vocal couch Gigi Giancursi: registrazione fiati