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Max Arduini

La scienza di stare in fila

Ascoltando il nuovo disco di Max Arduini gli va riconosciuto di aver indovinato il titolo, una frase che racconta molto degli ultimi suoi trent’anni. Una vita artistica passata all’insegna di pacche sulle spalle ricevute ma anche di delusioni cocenti, di premi vinti ma senza aver avuto (ancora) l’occasione giusta per farsi conoscere dal grande pubblico. E per reggere bene questi alti e bassi devi lavorare molto su te stesso, ci vuole una ‘scienza’, una resilienza diremmo oggi, che ti permetta di stare in fila, di aspettare il tuo turno. E in tutto questo devi aggiungerci che ogni qualvolta esci con un disco nuovo, seppur la fila si accorcia, c’è sempre qualcuno che quella fila la salta. E magari senza avere preso il numerino...
E così, La scienza di stare in fila potrebbe anche non essere l’album della svolta o forse Max ha già messo in conto che quel momento non arriverà mai, la vita insegna anche questo. Verissimo, ma di certo queste undici nuove canzoni (meno due, In qualche giorno è già edita, così come La settima casa, una rivisitazione del fortunato brano che gli è valso parecchi riconoscimenti) spostano ulteriormente l’asticella della qualità della sua proposta verso l’alto.

Brani che riportano ad una canzone d’autore viscerale, con testi cesellati su musiche che si muovono sinuose su territori e mondi sonori che Max conosce bene. Testi spesso autobiografici in cui però è facile riconoscersi, cogliendo le similitudini di cento, mille ragazzi di provincia che sognano Roma, metafora di un “successo” che sembra sempre lì, a portata di mano, ma che ti sfugge via come solo la sabbia di Cattolica sa fare.

Nato a Ravenna quaranta (e rotti) anni fa, ha vissuto appieno la sua giovinezza in terra romagnola, per poi approdare da una decina d’anni – in pianta quasi stabile – a Roma. Nella (e dalla) capitale ha tratto nuove ispirazioni, affinando ancora di più il suo talento per la scrittura e forse non a caso per la prima traccia di questo nuovo album ha scelto Nina e Gaetà (brano presentato a Sanremo nel primo anno di baglioniana memoria, fiducioso che certi meccanismi potessero cambiare, per poi accorgersi che nulla, la “fila” c’era ancora e, anzi, a quello sportello era ancora più lunga del solito). Un brano che cattura subito, con un ritornello che lascia spazio anche ad ampie incursioni nel dialetto romano, suonato e arrangiato in modo egregio.

Ma volendo entrare meglio nel mondo di Max Arduini, ci facciamo aiutare da una famosa frase di Jannacci contenuta nel brano Ci vuole orecchio che qui adattiamo, per dire che se c’è gente che in un artista cerca solo la bella voce, prego cambiare aria. Già, perché Max ha una voce roca, lontana dal clichè dei talent moderni, non sappiamo se da troppe sigarette o altro, ma di certo ha una voce che sa di Francia e di jazz. Ma più di tutto, Max sa scrivere canzoni. Storie che si appoggiano su melodie che una volta arrangiate non ci sembra azzardato definire splendide, coadiuvato in questo da Valdimiro Buzi, polistrumentista romano che da molti anni collabora con lui e ne cura quasi in toto gli arrangiamenti. Buzi (qui nella foto) ha una formazione classica ed è uno dei più quotati mandolinisti italiani, una tradizione di famiglia questa, visto che è nipote di Giuseppe Anedda, uno dei più conosciuti mandolinisti italiani famosi in tutto il mondo (1912-1997). Negli anni Valdimiro ha allargato i suoi orizzonti e oltre a suonare in alcune colonne sonore di Piovani e Morricone, girare in lungo e in largo con alcune formazioni di strumenti a plettro, si è innamorato della tradizione romana e con il Trio Monti sta portando in giro uno spettacolo che ripercorre il grande canzoniere storico-popolare di Roma e laziale in generale. Ci perdonerete questa parentesi ma è dovuta, perché più si ascolta questo disco di Max (e se riprendiamo “½ Vivo e ½ Postumo”, uscito un paio d’anni fa, l’effetto è uguale) l’atmosfera che pervade ogni brano deve molto all’affiatamento di questi due personaggi, dove la creatività melodica di Max si è sposata perfettamente alla sapienza e al gusto dei suoni portati da Valdimiro.

Come spesso facciamo con gli album che ci hanno convinto fino in fondo, anche in questo caso ci sembra fuorviante segnalare solo alcune tracce. Ma tra i brani emotivamente più sentiti c’è quello dedicato a sua madre AnnaMaria (scomparsa circa un anno fa), con la voce di lei che nel finale, con fare pragmatico tipico della gente romangola, gli ricorda che ora… “deve andare”. Mama Laus Deo il titolo e sembra ricordare lo Staber Mater di Jacopone da Todi nella sua preghiera di Maria ai piedi della croce, divenuta poi celebre grazie all’adattamento musicale che ne fece Pergolesi nel 1700. Nel brano di Arduini i ruoli sono invertiti e il testo lascia trasparire in maniera chiara e precisa un vincolo fortissimo tra i due. O, più semplicemente, Max utilizza ‘Laus Deo’ come ringraziamento finale di un percorso vissuto insieme, dove emerge tutto lo scoramento di un figlio che perde la madre ma che trova forza nella consapevolezza che “la tua anima c’è, è seduta qua…”.

Un plauso anche a Ravenna, riuscito omaggio alla sua città, dove troviamo la presenza anche di Valeria Visconti a colorare con la sua voce (e il flauto) un ritratto dolceamaro di una città carica di storia e che nel 2019 è capitale italiana della cultura, riportandola così al centro dell’attenzione che merita (qui una foto della Basilica di Sant'Apollinare Nuovo, uno dei tanti luoghi simbolo della città conosciuti nel mondo). Chiudiamo segnalando Defaillance e soprattutto Plano, brano che parla di un sentimento subdolo con cui spesso – artisti e non – bisogna fare i conti, questo l’incipit: “L’invidia si infiltra, passa sempre da dietro e se poi trova chiuso deve rompere il vetro. Colleziona rimorsi come rari francobolli, poi coltiva per hobby il talento degli altri”.
Come dicevamo prima, nessuno può sapere se questo album saprà ampiargli quella visibilità che merita, ma di certo è la summa di un percorso iniziato molti anni fa ed è come se in questo lavoro Max ci avesse messo dentro tutto il suo passato. Infatti, oltre alle undici canzoni del disco fisico, nella versione digitale potrete ascoltare altri nove brani dove i protagonisti sono la Romagna, l’infanzia, l’amicizia, la passione per il cinema, per il mare che affascina e per quello che uccide (bello in questo senso Il valzer perduto che fa rivivere la tragedia del Titanic o di un qualsiasi naufragio, con alla voce Teura Cenci).

E mentre lavora su pezzi futuri, trova il tempo per dare vita ad una trasmissione radiofonica su Ballando Web Radio dal titolo ‘Né comune né volgare’, preso in prestito dal suo album del 2009. Ma per capire meglio questo momento particolare di Max, utilizziamo una frase trovata nel suo social qualche settimana fa: “Cambiamenti in corso senza dimenticarmi da dove vengo, quel che voglio e come lo voglio. Avessi avuto questo cuore molti anni fa, mi sarei risparmiato un bel po' di fegato”. Si riparte quindi, con una nuova formazione live (The Mama ChroGek) e Valdimiro sempre a fianco. Questo per il futuro. Per il presente, invece, abbiamo questo disco. E non è poco. Lasciamo quindi che a chiudere questa recensione sia ancora un gioco di parole prese del geniaccio milanese: gente che cerca un Artista, prego, qui si può respirare.

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Max Arduini e Valdimiro Buzi
  • Anno: 2019
  • Durata: 49:12
  • Etichetta: GDE Records

Elenco delle tracce

01. Nina e Gaetà
02. Plano
03. È Ravenna (feat. Valeria Visconti)
04. Salutami Gillespie
05. Mama Laus Deo
06. La settima casa (Anniversary 10H)
07. La nottata
08. Il qualche giorno (Anniversary 10H)
09. Defaillance
10. Sciarada… Ignurent!
11. Arlecchino noir (piano e voce)

Brani migliori

  1. Plano
  2. Mama Laus Deo
  3. Defaillance