Marchesi Scamorza
Ci furono, anni fa, la Raccomandata Ricevuta di Ritorno, poi il Consorzio Acqua Potabile, ed ancora il Biglietto Per L’Inferno… nomi definibili “strani” per quelli che, in fondo, erano dei gruppi rock; nomi che si proponevano, attraverso questa loro stranezza, di connotare, e financo di sottolineare, il differente approccio musicale rispetto al periodo beat che andava scemando.
In generale erano tutti abbastanza seriosi, proprio perché l’obbiettivo era catturare l’attenzione per poi spostarla sulla elaborazione musicale, e di certo mancava, fra di essi, una qualsiasi venatura ironica, che avrebbe rischiato, forse, di minarne la credibilità.
Questo problema non esiste più, finalmente, ed è per questo che i Marchesi Scamorza non hanno problemi ad essere ironici, ed anche autoironici, proprio perché, in fondo, sortiscono lo stesso effetto: catturano l’attenzione anche attraverso il loro nome scanzonato, ma bastano poche note di Intro per capire che la musica è, davvero, ricca di sostanza.
Siamo nel pieno solco della tradizione progressive, sempre in bilico fra la maggior “musicalità” di quella italiana ed il tecnicismo virtuoso di quella inglese, e si rinnova ancora una volta il perenne azzardo dell’utilizzo della lingua italiana nell’ambito di un genere nel quale la sua complessità lessicale e sintattica non trova sempre una collocazione ideale.
Da un punto di vista strumentale occorre fare un plauso alla band ferrarese, perché le linee dei brani sono fluide, mutevoli, gli incastri dei riff si inseguono con bella continuità, i cambi di tempo, di ritmo e di arrangiamento scorrono a meraviglia.
Rimane invece più di una perplessità sui testi, non tanto per i contenuti, perché, intendiamoci, spesso se si vanno a tradurre i testi di molte band inglesi o americane non è che ne vengano fuori delle opere d’arte o dei capolavori letterari, quanto proprio sulla loro strutturazione: spesso si avverte la grande fatica nello riuscire a far rientrare i versi nella metrica del brano, e la difficoltà di trovare termini sufficientemente “liquidi”, malleabili, da incastrarsi nella costruzione dei pezzi.
Come detto il problema non è nuovo, ma ha radici antiche: negli anni Settanta si poteva attribuire ad una certa ingenuità, dovuta alla scarsa esperienza di artisti abituati a confrontarsi con brani, quelli beat, dalla costruzione semplice, schematica e ripetitiva; questa attitudine, spostata su pezzi molto più lunghi, articolati, complessi e su tematiche distanti dalle canoniche rime ha, salvo rari casi, causato più di un problema.
L’esperienza, anche di quegli anni, avrebbe dovuto mettere sull’avviso band giovani come i Marchesi Scamorza; il loro La sposa del tempo è, va detto, un debutto assoluto, e quindi può certamente risentire dell’entusiasmo provato nel poter mettere finalmente su un dischetto tutto il proprio lavoro.
Tuttavia, se in futuro il gruppo vorrà crescere in modo significativo nella realizzazione dei brani, dovrà seriamente prendere in considerazione l’ipotesi di modificare l’approccio linguistico, più che altro per evitare che la brillantezza strumentale venga offuscata, spesso, dalle forzature dei testi: non è un palese invito ad utilizzare l’inglese, ma solo a fare, sull’argomento, una riflessione profonda.
Con la maturità scompariranno, senza dubbio, le occasionali incertezze vocali, ma il discorso lingua/testi rischia di rallentare, questo si, il processo di crescita di un gruppo dalle potenzialità interessanti.
01. Intro
02. Sentieri di carta
03. Lo schiavo di Babilonia
04. L’uomo dall’ombra lunga
05. Un passo ogni parola
06. Quelle volte
07. Il castello delle stagioni
08. Nelle notti più lontane
09. Autunno
Enrico Bernardini: voce, chitarra acustica - Lorenzo Romani: chitarra elettrica, acustica, cori - Paolo Brini: basso elettrico - Alessandro Padovani: batteria - Enrico Cazzola: tastiere, synth