The Junkyards
Ok, dove siamo?
In qualche ghost city sperduta nel midwest dove la railway non ferma più e i pasti si consumano intorno al fuoco?
No, un attimo, non si sente il banjo.
Siamo negli anni Quaranta, sotto un portico di una casetta in legno sconfitta nella battaglia del tempo, seduti su di una sedia a dondolo a guardare il sole tramontare. Forse.
Siamo comunque nella tradizione americana, quella cantata da Woody Guthrie e Pete Seeger prima e Johnny Cash dopo, tradizione da cui musicisti hanno attinto e continuano a farlo.
I Junkyards affermano di trarre ispirazione dai grandi numi tutelari, ma anche dai più contemporanei Black Rebel Motorcycles Club, molto più psichedelici e nervosi si badi bene. Ci aggiriamo infatti più dalle parti dei tanto decantati Fleet Foxes e Low Anthem, con la loro ricerca della radici anche attraverso l’uso di strumentazioni vintage.
Fabrizio Coppola, voce e mente del progetto, organizza il suo viaggio in modo egregio, guarda alla tradizione americana senza la forza espressiva dello Springsteen solista ma, come afferma lui stesso, con «ampie dosi di leggerezza e ironia» soprattutto nella musica.
Il disco è gradevole e ben suonato: a pezzi bluesy come Last light on Earth e Aberdeen, si alternano la lullaby Fireworks over Chicago o la corale Junkyards of nonbeliever con tanto di kazoo in primo piano. Il cantato, neanche a dirlo, è in inglese e narra di abbandoni, fughe oltre i confini di terre ostili e personaggi usciti dall’antologia di Spoon River.
Si potrebbero elencare decine di “se ti piace ascolta anche” con il dubbio di aver già sentito alcune melodie contenute in questo lavoro, ma ehi, questa è l’America baby, e se si pesca dal background giusto non si sbaglia mai.
http://thejunkyards.bandcamp.com/
http://www.fabrizio-coppola.net/
01. Learn to dance – part one
02. Last night on earth
03. Fireworks over Chicago
04. Aberdeen
05. Way out across the border
06. The Junkyards of nonbelievers
07. I need a hammer
08. Every morning
09. Won’t let go
10. Learn to dance – part two