Fabio Giachino
Sembra dimenarsi dalle spirali spirituali di una camicia di forza l’album Limitless di Fabio Giachino: un senso di liberazione traspare quando il pianoforte riesce a districarsi tra le maglie dell’elettronica che infesta la musica pura. Non è una condanna del rumore sincronizzato, che anzi viene inglobato e reso elemento fantasioso; è piuttosto una voglia di purezza.
È un tipico fermento che investe il nostro periodo storico, questo nuovo millennio che comincia ad essere stufo della tecnocrazia e allo stesso tempo non vuole abbandonare la tecnologia. Prendiamo ad esempio la cucina: mentre nel mondo proliferano e spuntano come funghi mangiatoie multinazionali al limite del commestibile, la controtendenza della genuinità cerca di lottare con tutte le sue forze, dallo slowfood del ristorante tradizionale, allo street food sofisticato. Così anche la Musica (e la maiuscola non è lì a caso) cerca di districarsi tra un mainstream che poco concede all’intuizione veritiera, e una classicità da torre d’avorio. E così tra Calmdown e Melting Brain, il pianista Giachino cerca uno spazio all’interno di questo mondo così difficile da affrontare, con una sincerità d’intuizione che gli fa onore.
Poco infatti si concede al melodico, alla Allevi per intenderci; piuttosto si porta l’ascoltatore ad “aquiring the taste”, per citare i Gentle Giant, ad acquisire un gusto che non è innato in noi, ma dev’essere continuamente reinventato e allenato.
Così non si può fare a meno di pensare ad Art Tatum e a cosa avrebbe fatto se invece che non porsi dei limiti se li fosse posti: limitless non è il prodotto di questo disco delizioso ma difficile, è l’aspirazione, quell’obbiettivo che Giachino cerca di raggiungere a volte con scale vertiginose che si muovono in mezzo a un impianto limitato. Quando osa troppo ecco che interviene l’elettronica a porre un freno e ricordargli che la musica è comunicazione e che andare oltre è voler sfidare gli Dei. Nella risalita dall’abisso senza confine della propria anima, la pienezza dell’essere prende il sopravvento nella mente, e si compiace del suo poter esistere interamente in una struttura ben organizzata e pronta all’ascolto, scalciando in pezzi come Mindfulness. Ma è un continuo ricadere nella ricerca, per cui il disco non si esaurisce mai in nessuna direzione, non arriva mai al suo centro, e in questo è veramente senza limiti, perché l’infinito non è solo nel macroscopico, ma anche nel microscopico.
Il protagonista di quest’album non è Adrian del Dottor Faustus di Mann, il musicista che ha venduto la sua anima al diavolo per creare qualcosa che va oltre i limiti; non ha ceduto alle lusinghe del demonio, ma ha conservato la sua anima, mentre nasconde le sue emozioni, negative e positive, in mezzo alla vita cittadina di Hidden emotions, per giungere a vedere il mondo non dall’alto in basso, ma con dei New eyes che permettono una comunicazione nuova, senza per questo fuggire da quello straordinario universo infinito e misterioso che si chiama jazz.
01. Intuition
02. Everything is different now
03. Melting brain
04. Brain connection
05. Mind feelings
06. Hidden emotions
07. Mindfulness
08. Calm down
09. New eyes