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Orchestra In-Stabile Dis/Accordo

Live in Hamburg

Un concerto jazz… sì, ma non il “solito” concerto jazz: dimentichiamoci le atmosfere compassate del teatro, o l’aria immobile della music hall… Qui il registro cambia, e lo si capisce da subito: inizia Miconduco, il brano d’apertura, e di colpo sembra di essere tornati indietro di 30 anni, alle improvvisazioni free degli Area. Poi, piano piano, l’atmosfera si “ricompone”, ma resta assolutamente “anarchica” anche quando la possente sezione fiati prende il sopravvento, spostando il tiro su un’esecuzione più orchestrale.

Il brano poi, cambia continuamente ritmo, rallenta, accelera, diventa un pot pourri di suoni, senza seguire una melodia precisa, ma variando improvvisamente e senza un’apparente logica; difficile da seguire, in un certo senso, ma interessante e sorprendente per la quantità continua di “trovate” sonore che si susseguono una via l’altra.

Live in Hamburg, fatte le debite differenze e proporzioni, ricorda molto quelle jam session californiane del periodo “psichedelico” tanto care ai Grateful Dead, in cui si partiva si da un punto fermo, ma poi si lasciava, non certo “casualmente”, andare la fantasia, ed ogni sera il brano assumeva caratteristiche e direzioni nuove, diverse, inaspettate.

Ed ugualmente le cadenze più rallentate di Disaccordo sulla meridiana confermano quest’attitudine, anche se, in questo caso, i singoli strumenti si ritagliano spazi più ampi, le “disarmonie” si riducono, ed il filo conduttore del brano appare più immediatamente comprensibile.

Certo in tutto questo coacervo di suoni c’è da notare come i musicisti, ad onta della spontaneità con la quale si esprimono, debbano faticare, almeno mentalmente, per restare ancorati al pezzo, e soprattutto per riuscire a non sovrapporsi: merito sicuramente di una preparazione e di una padronanza strumentale fuori dal comune, e sicuramente di quel feeling sotterraneo che li lega.

Con Let’s them play la sperimentazione assume tinte più cupe, quasi dark, proseguendo quel work in progress che poi è la cifra stilistica di tutto l’album, i cui brani hanno tutti minutaggi considerevoli; che, appunto, il “progressive” abbia aperto una breccia anche nell’elaborazione jazzistica? Forse non da oggi: del resto il jazz-rock prima, e la fusion poi, già avevano spalancato al jazz classico orizzonti più ampi. Tuttavia, in questo caso, le carte vengono ulteriormente rimescolate: lo sviluppo dei brani richiede molto più tempo, difficilmente si ascoltano riff ripetuti, e quindi i brani non arrivano alla fine, chiudendo un ipotetico cerchio, con un ritorno all’inizio.

Album sicuramente complesso, visionario, da ascoltare con attenzione, ma soprattutto da non cercare di capire “tutto e subito”. Non è sufficiente una sola volta per entrare nelle sue infinite pieghe, ci vuole impegno, ed il desiderio vero di volerlo approfondire, ma è certo che, nel tempo, può rivelare aspetti davvero avvincenti.

E… indovinate di chi è la voce che ascoltate in sottofondo nel brano di chiusura...?

 

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Luca Lo Bianco
  • Anno: 2011
  • Durata: 64:41
  • Etichetta: Fitzcarraldo Records

Elenco delle tracce

01. Miconduco

02. Disaccordo sulla meridiana

03. Let’s them play

04. Fitzcarraldo

05. The Hamburg bis

Brani migliori

  1. Miconduco
  2. Let’s them play
  3. Fitzcarraldo

Musicisti

Francesco Guaiana: conduction, guitars Luca Lo Bianco: conduction, electric bass Leandro Lo Bianco: trumpet Heinz-Erich Godecke: trombone Henry Altmann: sousaphone Eldo Lauriano: clarinet, bass clarinet Calogero Genco: alto sax, soprano sax Emanuele Catania: tenor sax Domenico Argento: piano Lorenzo Colella: guitar Marko Bonarius: acoustic bass Massimo D’Aleo: drums Flavio Li Vigni: drums