Francesco Guccini
Anche i musicisti vanno in pensione. Nell'ultimo anno, di questo c'han dato lezione (con dignità e serenità, con grande e simpatico stile) Ivano Fossati prima e Francesco Guccini ora. Lo hanno fatto in maniera diversa, il primo annunciandolo all'uscita del disco e alla partenza dell'ultimo tour condotto come una festa, il secondo facendo dell'annuncio stesso l'uscita di scena, con un disco dato alla luce senza concerti a venire per farlo sgambettare. In entrambi i casi la gente non ha voluto crederci davvero, il pubblico affezionato si capisce, la stampa forse un po' meno.
E invece la verità - ce ne si faccia una ragione finalmente, approfittando di questi due rispettabili gesti - è che anche quello del musicista è un mestiere, e quindi ad un certo punto può finire in vita. E vivaddio.
Guccini nella fattispecie l'ha spiegato in una balera milanese mentre intorno nonni giocavano a carte (ce ne sono ancora anche a Milano, sì), raccontando, con la sua ironia e franchezza, che non ha più voglia di toccare la chitarra e di ascoltare musica, questo in aggiunta all'impegno che a 72 anni comporta uno spettacolo dal vivo e a quel po' di spaesamento nei confronti dell'agonizzare confuso della discografia (e della prima era della musica della nostra vita).
Come già per Fossati, la registrazione dell'ultimo disco di Guccini è stata insomma vissuta col senno di poi, e in questo caso appare più che mai come un dolce saluto, radunando gli amici musicisti nel mulino pavanese sull'appennino tosco-emiliano in cui è cresciuto e inserendo la voce del dialetto e del fiume a far da cornice alle canzoni. E gli otto brani altrettanto si ripiegano piano in tasca come la mano dopo il saluto, e lo sguardo più bello è inevitabilmente quello che pronuncia con coraggio limpido e pacifico l'ultima volta facendo la capriola indietro fino all'infanzia, accendendo le lucine su un presepio artigianale di partigiani infreddoliti in collina, capre tenute al guinzaglio col filo telefonico degli americani e calzoni corti al mercato.
Leggendo le recensioni in giro troverete che ciascuno segnala come migliori spesso canzoni diverse. Più che a significare la qualità varia del disco (che chiude in minore una carriera fra le maggiori), il fatto sta probabilmente a riportare che ciascuno ha amato una sfaccettatura diversa di Guccini. E quando ci si saluta, un po' per bilancio ma soprattutto per affetto se c'è, è fisiologico anche questo.
Unendosi al gioco, noi scegliamo di preferire il Guccini "epico". E quindi i due brani che segnaliamo sono "Quel giorno d'aprile", che mette la Liberazione sulla canna della bicicletta pedalando a fiato pieno tra i fiori di campagna in quel momento unico, e "L'ultima Thule", cioè l'ultimo personaggio della saga letteraria gucciniana, la genìa donchisciottesca che all'abile e dotta parola ha messo veste d'eroe cavalleresco, al contempo profondamente umano nei sentimenti e capitano d'avventura nella visione. Il disco si spegne così, nella nebbia temporalesca di un veliero in solitario che s'avvia al ricordo, quello che ci volta le spalle scivolando fra i ghiacci nella splendida copertina del disco, e che ci mancherà - moltissimo.
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01. Canzone di notte n.4
02. L'ultima volta
03. Su in collina
04. Quel giorno d'aprile
05. Il testamento di un pagliaccio
06. Notti
07. Gli artisti
08. L'ultima Thule
Francesco Guccini: voce - Ellade Bandini: batteria - Juan Carlos "Flaco" Biondini: chitarre e mandolino - Roberto Manuzzi: fisarmonica, armonica a bocca, tastiere, sax soprano, flauti, sinth, clarinetto, organo Hammond - Antonio Marangolo: sax tenore, sax soprano semicurvo, percussioni - Pierluigi Mingotti: basso, contrabbasso, oboe - Vincenzo Tempera: pianoforte - Paolo Simonazzi: ghironda - Vittorio Piombo: violoncello