Max Manfredi
Un disco molto atteso il nuovo di
Max Manfredi. Sia perché era dal
2001 con “L’intagliatore di santi” che il cantautore genovese non dava alle
stampe un nuovo lavoro di inediti – in questi sette anni gli unici brani nuovi sono stati i tre proposti a corollario del disco dal vivo “Live in Blu” (2004) – sia perché Manfredi, nonostante rimanga lontano dai
giochi mediatici, è autore di culto, da sempre celebrato da molta critica del
settore e da un non ristretto stuolo di estimatori, fra cui Fabrizio De André
(che di lui disse “è il migliore di tutti”) o Roberto Vecchioni (che lo
definisce “un capostipite, un intellettuale”).
Le tracce di Luna Persa sono in tutto tredici, anche se la prima è una
introduzione – incipit di un’antica canzone francese, Au claire de la lune – e l’ultima è una perla ripescata nella
produzione manfrediana oramai delittuosamente introvabile per vie lecite: La fiera della Maddalena, brano cantato
assieme a Fabrizio De André nel
1994. Il disco si può definire una “invenzione (quindi opera poetica)
documentata e oracolare dell’apocalisse tramite versi in musica” e difatti
dalla seconda alla dodicesima canzone si parla di storie e sensazioni
allucinate, con dettagli curati in una grande opera che conta più di trenta
musicisti e che, come giustamente si è osservato, “è da ascoltare con le
cuffie”. A partire dal brano L’ora del
dilettante, si entra nell’officina di Manfredi e ci si meraviglia di come
il genovese sia uno dei pochi a cantare da tempo dell’imbarazzante deriva della
discografia ufficiale e dei paradossi della rincorsa mediatica che sembra
presupporre incompetenza; la canzone, a detta dell’autore, è “a metà tra il rap
e la musica sinfonica” e di certo l’atmosfera futuribile e metallica presuppone
un luogo e un giorno del giudizio ben rappresentati dagli arrangiamenti.
Si prosegue con una canzone che
da tempo Manfredi esegue negli spettacoli dal vivo, Il regno delle fate, che tanto affascinò l’Ariston al Tenco 2007 e
per la quale ebbe ottime parole Gianni Mura su “la Repubblica”: brano
avvolgente, dondolante, cinematografico, un bagno caldo tra sapone e metrica,
cadenza, sogno e risveglio non del tutto inconsapevole, uno dei capolavori
assoluti della canzone d’autore italiana di ogni tempo.
Da qui, nell’enorme varietà
stilistica, si può persino pensare come i pezzi all’interno dell’album siano
messi appositamente in maniera da alternare canzoni più melodiche ad altre più
ostiche. Ma è poetica, non mercantilismo: è quello che accade con le seguenti Terralba tango, Retsina e le altre in successione, ma è anche uno scenario consueto
all’interno delle canzoni di Manfredi. Si prenda Aprile, dove a un passo
più “sofferto” musicalmente segue un altro in cui la tonica ritrova dominante e
sottodominante, in cui la musicalità si fa più gradevole e riconoscibile,
sempre in virtù di un messaggio, in funzione di una struttura precisa del
pezzo, tramite la quale formare ciò che si vuole dire: si cova e si costruisce
il ribollire interiore, per una sentenza più melodica ed en plein air nei versi
«È aprile, si sente che c'è il sole / fate presto, bambine, finché è aprile /
perché a maggio l'amore è già un dovere, / a giugno una stanchezza senza nome,
/ d'autunno un'ora d'aria di prigione». Non è altro che avere dimestichezza con
l’arte della canzone da parte di un artista cosciente del fatto che saperle
scrivere, le canzoni, non è trovare il ritornello “che funziona” o una linea
melodica orecchiabile, ma semplicemente un’arma possibile, probabilmente
efficiente per la propria specifica e singolare comunicazione – e così è col
ritmo: veloce o lento a seconda di ciò che serve all’artista.
A chiudere il discorso inedito ci
sono due canzoni come Il treno per
Kukuwok e il pezzo che dà il nome all’album, Luna persa. La prima è una evasione sognante, che approfitta del
cartello semplicemente rotto di una stazione, disegnando un posto immaginifico,
come ogni classico sogno da poeta (ma gradualmente si capirà che anche Kukuwok
era una scusa e un fraintendimento); Luna
persa, invece, è un’epopea di ben dodici minuti, un viaggio in fuga di un
padre e una figlia, noir e crudo, dove l’apocalisse giustifica i comportamenti,
la vita è ridotta ai minimi termini e la frenesia diventa agonia interminabile.
Un delirio assolutamente postmoderno che nell’elenco descrittivo trova il modo
migliore per accozzare le situazioni e rendere l’assurdità inumana fredda,
scalza e con i vetri sul pavimento della società attuale. La luna chiara
dell’inizio si fa persa, participio passato e colore bruno rossastro. Dodici
minuti di canzone vogliono dire canzone immediata, non-mediata da pretese
commerciali. Questa è una condizione immancabile perché ci sia canzone d’autore
e Max Manfredi è davvero un capostipite.
Oggi tutti vengono definiti
cantautori, molti pare che facciano canzone d’autore: Max Manfredi lo è e la fa
da quando Omero pensò il primo verso dell’Iliade, ha continuato con Bernard de
Ventadorn e i trovatori provenzali del Medioevo, ha ripreso recentemente con
Brel, Brassens e Bob Dylan. Manfredi fa suonare le parole e fa “parlare” – o
parolare, parabolare – la musica, raccontando di sé, della società, di sé nella
società e della società in sé. Ascoltarlo “con le cuffie”, con attenzione, non
in sottofondo, è un regalo che ci si può fare in mezzo a un sacco di
inquinamento acustico.
01. Au clair de la lune
02. L'ora del dilettante
03. Il regno delle fate
04. Terralba tango
05. Retsina
06. Libeccio
07. Quasi
08. Zimbalom
09. Aprile
10. Il morale delle truppe
11. Il treno per Kukuwok
12. Luna persa
13. La fiera della Maddalena (con Fabrizio De André)
Max Manfredi:
voce, silent guitar su #3, chitarra classica su #7 e #12
Marco Spiccio:
pianoforte su #3, #7, #9, #11
Matteo Nahum:
glockenspiel su #3, #7, #10, chitarre classiche
su #5, #6, #9, #12, bouzuki irlandese su #8, melodica su #8, dobro su
#11, slide guitar su #11
Fabrizio Ugas:
chitarre classiche su #5, #6, #8, #10, chitarra semiacustica su #7, #9, voce su
#7, #10, chitarre acustiche su #11, dobro su #12
Federico Bagnasco:
contrabbassi su #2, #3, #4, #5, #6, #7, #8, #9, #10, #11, #12, floor tom su #2,
tamburello su #2, tam tam su #2, campioni di gocce su #2, diapason su #2, rumori
vari su #2, cimbali su #7, sonagliera su #7, piatti su #7, #10, voci su #10, #12
Roberto Piga:
violini su #2, #5, #9, #12
Corrado “Dado” Sezzi:
tam-tam su #3, piatti su #3, #8, #12, bidoni su #3, #8, cajon su #8, congas su
#8, darbuka su #12, timbales su #12, djembe su #12, floor tom su #12, jamblocks
su #12, triangolo su #12, cabasa su #12