Mina Fossati
Bisognerebbe sempre prendere un vantaggio di qualche mese rispetto a un disco, staccare la presa, isolarsi, riascoltare molte volte, tenere in ammollo e poi mettere le dita su una tastiera del pc e parlarne. Niente clic, nessun precipizio, soprattutto se si ha sulla scrivania Mina Fossati, l’album che ha sollevato un gran polverone alla fine del 2019. Per questa coppia di giganti che insieme hanno strappato il sipario di una scena in apatia metabolica da molti punti di vista, tornando trionfanti, per il ritorno di chi proprio da queste scene era andato via felice di rintanarsi in esilio, nella sua Sant’Elena, per chi in esilio ormai ci vive da quarant’anni, ma non molla la presa, regalandoci da Lugano dischi e trecce rosse.
Una lunga premessa necessaria tanto quanto quella di Fossati che, in conferenza stampa, a novembre, seduto su uno sgabello e stretto in un giubbotto jeans (qui nella foto insieme a Massimo Bernardini, nella Sala Puccini del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano), ha con non poco impaccio dichiarato la sua excusatio non petita in tre punti focali: non si parla di ritorni ma di passaggi (e passaggi); dire di no a Mina che ti chiede un disco è da matti; dire di no a Mina che ti chiede un disco ti fa anche rischiare un matrimonio, vista la crisi avuta sulle prime, dopo la richiesta della signora, risolta dalle parole di sua moglie: «o scrivi, o divorzio».
E così Fossati, rompendo un silenzio insopportabile per chi come noi pativa moltissimo, mai abituato a vederlo andare via troppo presto, sentendoselo strappare di dosso in quel 2012, come fosse un polmone senza il quale respiri a fatica, ha fatto improvvisamente un sacco di cose: ha scritto. Ha scritto per non leggersi matto (parafrasando Faber), ha scritto canzoni nuove che potessero coniugare i due universi distanti ma per molti versi complementari, il suo e quello di Mina, fatti di stelle, lune, pensieri profondissimi e divertissement, ha cucito due diversi modi di cantare (frasi corte per lui, frasi lunghe per lei), ha ‘salvato’ un matrimonio, il suo, ha fatto un disco nuovo, ha duettato con la divina, ha parlato del presente, tornando sui passi dell’Uomo contemporaneo quale è, ha parlato d’amore. Fossati ha fatto i compiti, ma tutto questo non basta, purtroppo. Non basta per chi lo conosce meglio delle sue tasche, per chi aspettava lo squarcio di questa tela, del tutto inaspettato, giunto in un giorno di sole di fine novembre, per ritornare a respirare. Tutto brilla, tutto è perfettamente a posto, nulla sfugge di mano. I due hanno maestria, padronanza, esperienza, mestiere, ma non vengono mai fuori dalle loro posizioni, e soprattutto non fanno cadere te dalla sedia.
“Mina Fossati” è un disco che non rischia mai, che non ti spettina in nessuna traccia. Ha tutto quello che serve per non essere, però, mai abbastanza o almeno più di tanto, più di quello che ci si aspettava. Ha venature rock, blues, la ballata lenta e la voce piena, come la luna diamante, di Mina, ha l’incastro dei due, il suono perfetto, la meditazione dietro ogni traccia, la scrittura di un grande autore e la voce di una dea, ha il giocoso passaggio di Farfalle, L’Infinito di stelle che riprende le mosse da quel fotogramma di Settembre su cui tutti eravamo rimasti paralizzati vedendo andare via un taxi, ha la traccia iniziale, lanciata nell’etere, che fa l’occhiolino a Santana, ha gli arrangiamenti di Massimiliano Pani, ha l’amore declinato in parole “da grandi”, ha pezzi di passato riconoscibili che rassicurano. Un album che è un viaggio di due pilastri che hanno ancora molta voglia di spassarsela ma che nella pur cristallina perfezione, non hanno più tanto da dire. Mina spesso gigioneggia con la voce, alza i toni, dilata le atmosfere, mentre Fossati accomoda tutto, rimettendo i soprammobili sul tavolo. Non è un danno, ma nemmeno un guizzo.
È un disco di pregevole fattura, sia ben chiaro; è un disco che accontenta tutti ma non chi voleva i diavoli al culo. Quelli non ci sono più, e forse è anche normale che sia così, dopo una vita passata a scrivere capolavori. E allora perché? Che operazione è ‘Mina Fossati’, letta, vagliata, scandagliata a distanza di due mesi dalla sua uscita? Non è un ritorno, non è uno squarcio, non è un vento che ci spettina un po’. È un garbato omaggio al loro passato, proiettato in un presente vuoto, pieno di tentativi, di bozzetti che vagolano intorno a quello che questi due signori qui hanno fatto di indelebile nella storia. È la summa di una vita tradotta in canzone da chi le canzoni le sa scrivere e cantare; è eco di sirene che tornano a lusingare Fossati, attraverso la voce di Mina, che lo sa come non farlo dormire e che innocente - per fortuna - non è (stata). Passo dopo passo, minuto per minuto.
01. L’infinito di stelle
02. Farfalle
03. Ladro
04. Come volano le nuvole
05. La guerra fredda
06. Luna diamante
07. Tex-Mex
08. Amore della domenica
09. Meraviglioso è tutto qui
10. L’uomo perfetto
11. Niente meglio di noi due
Musiche e testi di Ivano Fossati
Arrangiamenti e cori Massimiliano Pani
Arrangiamenti archi Celso Valli
Ugo Bongianni (Programmazione, tastiere e pianoforte) - Danilo Rea (Pianoforte, fender e Hammond) - Alfredo Golino (Batteria) - Massimo Moriconi (Contrabasso e basso fretless) - Faso (Basso elettrico) - Luca Meneghello (Chitarre acustiche, elettriche e soli) - Massimo Tagliata (Soli fisarmonica) - Gabriele Comeglio (Soli sax alto e soprano) - Claudio Fossati (Percussioni).
Ivano Fossati: Chitarra elettrica (L’infinito di stelle), chitarre elettriche addizionali (Come volano le nuvole, L’uomo perfetto, Niente meglio di noi due), chitarra classica (Farfalle), Hammond (Tex-Mex)
Primo violino di spalla: Valentino Corvino
Primi violini: Gabriele Bellu, Federico Braga, Davide Gaspari, Davide Dondi, Elicia Silverstein
Secondi violini: Anton Berovski, Silvia Mandolini, David Caramia, Keti Ikonomi, Tommaso Luison
Viole: Stefano Zanolli, Andrea Maini, Barbara Ostini, Laura Garuti
Violoncelli: Sebastiano Severi, Vincenzo Taroni, Nazzareno Balduin, Marco Ferri
Immagini Mauro Balletti
Grafica Giuseppe Spada