Underground Railroad
Torna il rock “anni ‘70”… anche in Italia??? Forse… certo, reggere il confronto con certa musica di “derivazione televisiva”, almeno a livello di grandi numeri è difficile, ma se l’obbiettivo è, invece, la qualità della proposta, allora gli Underground Railroad c’hanno preso in pieno.
Moving the mountain è un lavoro ruvido, grezzo, “dirty”, per usare un anglicismo che tra gli amanti del rock è più chiaro di tanti giri di parole.
La formula è quella del trio, ch/bs/bt, senza tastiere, fiati, ed anche, almeno ad un primo ascolto, “no electronics”; in ogni caso già con Black rain la strada intrapresa appare chiara e precisa: i riferimenti, The Answer, Wolfmother, Black Country Communion, Them Crooked Vultures, riportano indietro le lancette del tempo, ballate come Riverside, rock classici come Chain gang o Rainstorm rieccheggiano zeppeliniane memorie, insomma, il background è, davvero, di tutto rispetto.
Il fatto che la musica rock degli anni ’70 affascini ancora, a più di trent’anni di distanza, molti giovani musicisti lascia davvero ben sperare; qui non conta nulla essere dei “personaggi”, avere un’immagine riconoscibile, qui conta quel rapporto intimo con lo strumento musicale, dal quale “tirare fuori” qualcosa di emozionante, di coinvolgente, la sostanza oltre la forma, se per forma si intende apparenza.
Affascinante, e decisamente in sintonia con l’album, anche la copertina: un vecchio capannone industriale in disuso, che cade a pezzi, ma che nella sua maestosità strutturale ricorda ancora la fatica, il lavoro, la manualità, quel “realizzare” fisicamente qualcosa che oggi pare non avere più una rilevanza significativa; ed invece no, perché l’artigianalità, la capacità di costruire delle canzoni è la cifra stilistica di questa band.
Quello che riserverà il futuro a gruppi come gli Underground Railroad è difficile a dirsi, oggi: troppe incognite, troppi interessi, troppe variabili, un mercato che non ha una direzione precisa, che devia spesso e repentinamente e segue logiche imprevedibili; quest’album è una bella pietra, solida, definita; ora sta al pubblico che predilige questi suoni fare in modo che la proposta si faccia spazio ed ottenga visibilità, riscontri, apprezzamenti, perché i tre musicisti ferraresi ci mettono, e molto, del loro…
01. Black rain
02. Same old place
03. Riverside
04. Hard to let go
05. Chain gang
06. Enlightenment
07. Drown
08. Part time President
09. Rainstorm
10. A new machine
11. Satisfied
12. Dirty woman
Enrico Cipollini: guitars, vocals Andrea Orlandi: bass Nicola Fantini: drums