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Yo Yo Mundi

Munfrà

«Posso dirlo? Sono stufo dei progetti. La musica è filosoficamente inconoscibile, non un “progetto” che produca comunicati stampa di cui vantarsi, e trovare così qualche scrittura per una stagione, per poi essere dimenticato la successiva», così scriveva Salvatore Bonafede nel booklet che accompagnava l’album Pure songs, che ho appena avuto occasione di recensire e penso di capire a cosa alludesse realmente: a quei dischi pompati artificiosamente da comunicati stampa pieni di citazioni e riferimenti che, però, appena messi nel lettore, rivelano da subito la loro poca consistenza, proprio come una spruzzatina di neve che, ai primi, tiepidi raggi di sole primaverili, si scioglie inesorabilmente.

Non è però certo il caso di Munfrà. Provate a metterlo nel vostro lettore: da subito sembrerà prendere vita, quasi fosse costretto a forza dentro il suo curato package - sembrerà quasi respirare. Ascoltate la prima traccia strumentale che dà il titolo al disco: sembra il fiato caldo che scalda le mani durante i freddi inverni del Monferrato, quando magari le gelide nebbie mattutine avvolgono l’intero paesaggio. Sembra di sentire il fiato dei segugi nelle battute di caccia alle lepri alle prime luci dell’alba - è anche il fiato del mondo che si fa piano piano ritmo.

Ed ecco comparire le ghironde suonate da Sergio Berardo (Lou Dalfin) e le musette bourbonnaise di Fabio Rinaudo (Birkin Tree), sembrano quasi sospingerci affettuosamente oltre confine, Oltralpe e poi ancor più su, verso Irlanda e Scozia. Si potrebbe ben dire che questo magnifico disco - perché è davvero un bel disco ben suonato, studiato nei minimi particolari, frutto di quattro anni di composizione e di ricerca sia musicale sia linguistica - si giochi costantemente su una dualità. C’è la tradizione rappresentata dalla canzone popolare cui chiaramente l’intero lavoro s’ispira, ma c’è anche forte attualità: tutte le canzoni sono state scritte appositamente per questo disco, ma, come per magia, è come se fossero sempre esistite dentro il nostro personale patrimonio musicale.

Lo stesso linguaggio utilizzato nelle varie canzoni ci dipinge il Monferrato come un microcosmo, non chiuso su se stesso e rigidamente ancorato alle tradizioni, bensì vissuto come fertile terreno in cui si mescolano linguaggi, culture e suoni provenienti da terre lontane. Ecco allora convivere nello stesso disco i suadenti ritmi cubani di Carvé 1928, sostenuti dalla presenza dei Bandarotta Fraudolenta; le sonorità medio orientali di Tè chi t’èi con le presenze di strumenti come duduk, qraqueb e il canto in arabo di Nabil Salameh (voce dei Radiodervish); o anche la successiva Trapulìn, in cui l’oud intreccia il proprio caratteristico suono con lo splendido organetto di Filippo Gambetta, sfociando in un brano di grande forza evocativa.

Ci sono poi brani che riecheggiano danze popolari, lontane feste di paese come Sstéila, racconto di un amore giovanile, o Rataràura, introdotta da una filastrocca letta per l’occasione da Bertino Astori. C’è poi la poesia pura di pezzi come Il grande libro della memoria, arricchito dalla cornamusa asturiana di HeviaNa bela còrba ed nìule, canzone dichiaratamente dedicata a Luigi Tenco; o quella più epica del brano La ballata del tempo del sogno, che racconta l’origine del termine “frhà” (cavallo ferrato) da cui poi Monferrato e che vede la rilevante presenza di Eugenio Finardi. Sono davvero troppi per essere qui citati tutti i contributi al disco: lascio a voi il piacere di scorrere la scheda dei crediti.

Paolo Conte, nella bella prefazione inserita nel libretto, in cui compaiono per altro testi, riferimenti, note, ha scritto così: «Sto ascoltando dal mio Monferrato […] questo magnifico disco degli Yo Yo Mundi dedicato a queste terre (loro e mie). Sto apprezzando la tristezza colorata che hanno queste canzoni in cui il frequente uso del tono minore (questione che riguarda l’armonia) non crea tristezza e abbandono, ma danza continua di luce e ombra. […] Su questi antichi sobbalzi in due quarti e tre quarti, gli Yo Yo Mundi hanno lavorato con eccellenti orchestrazioni che infiammano e corteggiano la scatola magica, la fisarmonica, torre di Babe e regina di Saba». Io, molto più semplicemente, vi dico solamente: cercatelo, scartatelo, mettetelo nel vostro lettore e lasciatevi pervadere dalla sua nobile musica, morbida e asciutta, con un retrogusto leggermente amarognolo - proprio come il Dolcetto d’Acqui, perfetto abbinamento di questo sostanzioso e prelibato piatto musicale.

 

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Fabio Martino e Yo Yo Mundi
  • Anno: 2011
  • Durata: 53:22
  • Etichetta: Felmay / Egea

Elenco delle tracce

01. Munfrà

02. Sstéila

03. Il grande libro dell'ombra

04. Dùma ch'andùma

05. Carvé 1928

06. Na bèla còrba ed nìule

07. Arcanssél

08. Léngua ed ssu

09. Sstéila Féssta

10. Tè chi t'éi?

11. Trapulìn

12. Rataràura

13. Rabdomantiko

14. Léngua ed ssu: el bàl

15. La ballata del tempo del sogno

16. Orsanti

17. Carvé 2011 (bonus track)

Brani migliori

  1. Sstéila
  2. Rataràura
  3. Na bèla còrba ed nìule

Musicisti

Paolo E. Archetti Maestri: voce, chitarra acustica, chitarra elettrica, kazoo (12), charango (15)
Fabio Martino: fisarmonica, melodica, pianoforte, glockenspiel, vibrafono, harmonium, organo, voce
Andrea Cavalieri: contrabbasso e contrabbasso elettrico, basso acustico e elettrico, clarinetto, clarinetto basso, voce
Fabrizio Barale: lap steel guitar, mandola, chitarra acustica e classica
Eugenio Merico: batteria Sergio Berardo: ghironda in do e in sol (1), ghironde (6) Fabio Rinaudo: musette borbonnaise 16 e 24 pollici (1), tin whistle (1, 3), uilleann pipes (3, 7) Claudio Fossati: batteria (1, 5, 10), percussioni (1, 5, 10) Elisabetta Gagliardi: vocalizzi (1), cori (1), voce (2, 15) Betti Zanbruno: cori (1), voce (6, 13) Ivano A. Antonazzo: cori (1) Steve Wickham: violino (2, 6), mandolino (4) Gino Capogna: cajon (2, 13), percussioni (2, 13) Filippo Gambetta: organetto (2, 11) Hevia (José Angel Hevia Velasco): midi bagpipes (3) Luca Olivieri: harmonium (3) Diego Pangolino: cembali (3, 13), percussioni (11), darbouka (13) Gianluca Dessì: bouzouki sx (3, 15) Daniele Caronna: bouzouki dx (3) Giorgio Penotti: sax tenore (5), arrangiamenti fiati (5) Renato Vacotti: sax tenore (5) Beppe Vessella: sax tenore (5) Luca Serrapiglio: sax baritono (5) Giacomo Alcuri: tromba (5) Carlo Trivigno: trombone (5) Silvio Barisone: banjo (5) Dario pg Milan: batteria marcetta (6), spazzole (6) Diego Pangolino: cembali (6), percussioni (9, 16), rullante (9), darbouka (16) Vincenzo Zitello: arpa celtica (7) Mario Arcari: fiati (7, 13, 16) Banda Osiris (Giancarlo Macri: basso tuba (8, 13), percussioni (8), Sandro Berti: tromboni (8), Roberto Carlone: trombone (8), Gianluigi Carlone: sax soprano (8), arrangiamenti (8) ) Alex Leonte: violino (9, 15, 16) Nabil Salameh: voce (10) Franco Minelli: oud (10, 11) Maurizio Camardi: sax soprano (10), sopranino (10), duduk (10) Michele Lobaccaro: tastiere (10), piano (10), programmazione ritmica (10) Alessandro Pipino: tastiere (10) Fabrizio Barale: qraqeb (10, 16) Bertino Astori: voce filastrocca (12) Andrea Masotti: musa (14) Stefano Valla: piffero (14) Eugenio Finardi: voce (15) Bandarotta Fraudolenta (Giorgio Penotti: sax tenore (16), arrangiamenti (16), Renato Vacotti: sax tenore (16), Beppe Vessella: sax tenore (16), Luca Serrapiglio: sax baritono (16), Giacomo Alcuri: tromba (16), Carlo Trivigno: trombone (16), Gino Capogna: percussioni (16), Roberto Bonaldo: percussioni (16), Celio Volpini: percussioni (16), Nakke: percussioni (16))