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I Rudi

Nient’altro che routine

Parlare di cultura “mod” oggi può sembrare quasi un gesto “fuori tempo massimo”, ma in realtà non è così perché ciclicamente questi anni hanno più volte rivisitato periodi artistici e culturali del passato, spesso facendoli diventare parte integrante di quello odierno. E’ stato così per gli anni ‘50, ‘60, per i “mitici” anni ‘70, per i controversi anni ‘80, per i nebulosi anni ‘90 e ciò dimostra che il concetto di moda non è più quello cristallizzato di qualche decennio fa, ma un’idea in continuo movimento, che fluttua fra le generazioni in modo carsico, scomparendo e riapparendo periodicamente.

I Rudi nascono ufficialmente cinque anni fa, si sono stabilizzati come trio da un paio d’anni ed immediatamente salta “all’orecchio” un dettaglio non da poco: nella miscela musicale, a cavallo fra la musica pop e la musica black, che rilegge in senso moderno (“Mod”, fra l’altro, significava proprio modernism…) l’originario mix fra beat e  rhythm and blues, non ci sono chitarre, ma regnano incontrastate le tastiere. Proprio questo particolare rivela quanto un concetto musicale, temporalmente “vintage”, possa essere riproposto in termini sì differenti ma senza essere stravolto o snaturato. E non tragga in inganno il titolo dell’album, Nient’altro che routine: le otto tracce con le quali il trio si presenta sono tutt’altro che semplice ordinaria amministrazione.

One two three…via che si parte con Fiamboniglio e le influenze musicali deflagrano tutte perché c’è da correre dietro alla batteria spigliata ed aggressiva di Stefano Di Niglio ed al basso pieno, a tratti quasi “acrobatico”, di Silvio Bernardi: beat, r’nb, con il piglio energico di una garage band in cui le tastiere sono, nel contempo, quelle chitarre e quei fiati che in parte riportano alle origini ska della band. Gli anni ’60, prima di tutto, e quindi Who, Small Faces e Brian Auger, non fosse altro che per i suoni di Hammond spesso in gran spolvero; ma anche parte degli anni ’80, i Jam soprattutto, ma quelli degli inizi, quelli più influenzati da Beatles, Kinks, Who e, per lo meno dal punto di vista ritmico, affini ai Clash: ritmiche secche, precise, semplici ma ricche di dinamica, sulle quali i tasti bianchi e neri di Gabriele Bernardi, sia in versione elettrica che acustica, hanno modo di “svolazzare” agevolmente e liberamente.

Un trio brillante ed originale che, nonostante le radici chiare ed i riferimenti precisi, ha davvero tanto spazio davanti a sè, perché la formula strumentale da loro adottata non ha certo attinenza soltanto ai generi cui si è fatto riferimento; facendo un salto temporale di una quarantina d’anni, potremmo citare Booker T & The M’Gs come esempio di gruppo storico, ma ancora di più i Niacin, band attualissima in cui Hammond (e/o pianoforte), basso e batteria, in totale autonomia e senza altri strumenti riescono a sviluppare temi musicali ricchi di stimoli. Ai Rudi la scelta se proseguire ancora un po’ lungo la via appena intrapresa, e svilupparne i temi, oppure deviare, improvvisamente, verso altre direzioni: gli spazi e le occasioni ci sono certamente ed i generi assimilabili o sovrapponibili non sono davvero pochi: una sterzata funk, per esempio, potrebbe essere un’opzione interessante, no?

 

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Vincenzo Giacalone, Silvio Bernardi
  • Anno: 2015
  • Durata: 25:11
  • Etichetta: Ammonia Records

Elenco delle tracce

01. Fiamboniglio
02. Nei Confini
03. Routine
04. Falsi Eroi
05. Tre Tizi
06. Anna
07. Roo Baby
08. Melanie

 

 

Brani migliori

  1. Fiamboniglio
  2. Nei confini
  3. Anna

Musicisti

Gabriele Bernardi: tastiere  -  Silvio Bernardi: voce, basso  -  Stefano Di Niglio: batteria  -  Paolo Mesiano: sax  -  Lorenzo Trentin: armonica