Sembra quasi che si faccia fatica a considerare Luisa Corna una valida cantante, oltre che una brava e bella presentatrice. Eppure la sua prima “vocazione” è stata il canto. Il percorso della Corna, infatti, inizia nel ’92 al Festival di Castrocaro (quando ancora riusciva a lanciare qualche talento), dove si classifica seconda con la canzone Dove vanno a finire gli amori. Dopo di che, grazie alla sua avvenente bellezza, tanta televisione, un quarto posto al Festival di Sanremo in coppia con Fausto Leali (cantavano Ora che ho bisogno di te) e nel 2006 il suo disco d’esordio, Acqua futura, con brani firmati da Gatto Panceri e Renato Zero.

A distanza di qualche anno, la brava Luisa torna al primo amore, la musica, con l’ep Non si vive in silenzio, titolo preso a prestito da una canzone di Gino Paoli del ’72, riproposta con gusto e sensibilità. Belle anche le altre cover del disco tradotte in italiano: ad apertura la poderosa Voci, brano anni Ottanta di Russ Ballard; Io dico stop della songwriter inglese Sam Brown; Corri e vai, che altro non è che la famosissima Run Baby Run di Sheryl Crow. Tre gli inediti presenti, tra cui Notti bianche e 2 sillabe che si avvale della chitarra di Alex Britti. Non si sa fino a che punto Luisa Corna possa riuscire a scalfire attraverso la musica, visto la sua carriera fortemente improntata verso la televisione. Se pensiamo però che negli anni Sessanta, “signore della canzone italiana” come Mina, Ornella Vanoni, Milva, Rita Pavone riuscivano a essere anche le “signore degli show televisivi del sabato sera”, come mai alla Corna tutto ciò non è riuscito a pieno? Forse erano altri tempi? Forse le “signore” sopra citate appartengono a un’altra generazione di artisti? Forse hanno unicamente creduto in loro stesse come “cantanti” e non come “personaggi televisivi”? Forse…

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2020