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Ibisco

Nowhere Emilia

Nowhere Emilia: un titolo che sembra una contraddizione in termini, ma che al tempo stesso prefigura l’idea che il territorio padano possa essere un luogo dove smarrirsi nel nulla della quotidianità per poi ritrovare la propria autenticità. I due elementi sono accostati in un contrasto quasi stridente al primo sguardo ma, proprio perché la peculiarità della lingua inglese è quella di poter giocare con la polisemia delle parole, scomponendole e piegandole a molteplici significati, nowhere può diventare no-where, nessun luogo, ed anche now-here, ora e qui.

Da una parte, dunque, si allude ad un territorio inesistente, dove niente può accadere e dove, al tempo stesso, tutto si può realizzare: nowhere in greco suona come οὐ-τόπος, cioè “non-luogo”, da cui deriva ουτοπία, cioè utopia, regno dell’ideale e dell’impossibile che, nella mente del sognatore, diventa possibile. Dall’altra parte, invece, una delle regioni più popolose e industrializzate del nostro Paese si configura come location prosaica e concreta che lascia poco spazio all’immaginazione, nella quale si è costretti a trascorrere il presente tra inquietudini e frustrazioni irrisolte, un po’ come nell’ Emilia paranoica di ferrettiana memoria, ma che al tempo stesso, magari grazie ad un legame appagante, può a volte essere uno spazio vivibile.

La sfida che sta dietro all’album di esordio di Ibisco, cantautore bolognese classe 1995, è quella di far convivere idealmente questi due territori, uno mentale e l’altro reale, attraverso il racconto delle contraddizioni del vivere quotidiano. Il progetto musicale di Filippo Giglio, questo il vero nome dell’artista, è dunque un concept che vuole raccontare l’immobilismo e il desiderio di fuga dal capoluogo felsineo che è al tempo stesso prigione e microcosmo, ma anche la possibilità di vivere un’esistenza dotata di senso senza necessariamente allontanarsi da esso.

Sonorità synth-pop, dance e dark wave, unite a suggestioni cantautorali, rivestono una sequenza di dieci tracce dai titoli allusivi e scarni, avvolte in tonalità di bianco e nero, le stesse che dominano la copertina del disco. L’artwork firmato da Valerio Bulla rappresenta infatti, su un fondo total black, un candido oggetto circolare che è al tempo stesso bi- e tridimensionale, aperto e chiuso, correlativo oggettivo della mentalità emiliana, multiculturale e provinciale, idealista e pratica insieme.

L’album si apre con Meduse, in cui una vocalità ariosa contrasta con il senso di solitudine e di abbandono, con le immagini un po’ squallide dei “campi orinatoi” e delle “luci che non vanno nelle strade buie” immerse nell’ “aria fradicia” di una vita che, confessa l’io lirico, “non sarà la mia”. Prevalgono sonorità acustiche, quali il pianoforte ed una chitarra pizzicata sui cantini. Altrove, invece, l’elettronica prende ampio spazio, quasi incarnando l’alienazione, la ripetizione dei gesti e delle abitudini. Da Bologna Nord si può e si deve fuggire; le tangenziali diventano “spalle su cui piangere” e al “buio padano” si vogliono “rubare le notti”, cercando casa per condividere il male di vivere; il protagonista non sa “dove andare da solo”, mentre i suoi disagi risuonano su “batterie elettroniche, dentro le canoniche, nelle case sudice.” Protagonisti della vita cittadina sono i Ragazzi, consapevoli della precarietà delle proprie illusioni, dato che “il mondo potrebbe finire anche tra un’ora”; le loro inquietudini si possono però scatenare su un dance floor, dato che il brano nella seconda parte si fa ballabile, quasi liberatorio. B racconta, in un duetto con una languida voce femminile (Enula), di un rapporto a due come possibilità di evasione, di andare “via dalla realtà”, perché solo abbracciandosi “forte dentro la città” si può sfuggire al dolore. L’Emilia è naturalmente terra di Pianure, dove si danza al “suono di un irrigatore” tra “cartelli di lamiera”; la stagione preferita è l’Houtunno, sempre vissuta, a passi cadenzati, nelle ore notturne, le stesse che si trascorrono nei Quartieri in cui, nei momenti più bui, è “meglio continuare soli”. Ricorda quasi i Cure di A Forest la sezione ritmica iniziale di Chimiche, che poi si dissolve in un brano dance quasi ipnotico. La voce di Pier Paolo Pasolini, con la sua critica sulla società dei consumi, costituisce l’emblematica introduzione di Tintoria le cui atmosfere, in bilico tra cantautorato e synth pop, conducono poi verso le Luci della traccia finale, in cui l’alba nebbiosa lascia intravedere qualche raggio solare che illumina le tenebre, simbolo di speranza e di rinascita, e in cui tornano gli strumenti acustici.

La vocalità di Ibisco non segue le traiettorie cupe e notturne delle trame sonore e dei paesaggi evocati, ma è spesso vitale, con tonalità alte, creando un ulteriore contrasto tra reale e ideale, anelito alla fuga e ri-costruzione del sé. Si tratta di una interessante opera prima che dimostra che il post-pop può farsi portavoce dello smarrimento, della malinconia e del disagio della vita di provincia, per tentare di fare i conti con una condizione che molto spesso è universale.

Foto di Silvia Violante

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In dettaglio

  • Anno: 2022
  • Etichetta: V4V Records / Universal

Elenco delle tracce

01. Meduse
02. Bologna Nord
03. Ragazzi
04. B 
05. Pianure
06. Houtunno
07. Chimiche
08. Quartieri
09. Tintoria
10. Luci

Brani migliori

  1. Meduse
  2. Bologna
  3. B