Ex.Wave
Nel booklet barattoli targati Ex.Wave nelle stesse combinazioni cromatiche della Campbell’s Soup warholiana; in copertina, tra gli altri, i volti serigrafati in poster pop di Keith Flint (Prodigy) e Robert Schumann, Thom Yorke e Benedetto Michelangeli, Robert Smith e Glenn Gould. E una lolita che ad occhi chiusi assapora un latte vischioso, che le cola tra le gambe nude e accavallate. Il messaggio del progetto di Lorenzo Materazzo e Luca D’Alberto, al secondo album, sembra ben chiaro: l’arte va contaminata senza pudori. E consumata voracemente.
L’operazione degli Ex.Wave risulta audacemente affascinante, schiettamente contemporanea e quasi post-moderna, nonché furbamente intelligente. È quasi una provocazione smaliziata (contro e per il mercato) infatti quella con cui il duo alterna o mescola linee di piano classiche di bellezza lancinante e struggente (v. Rome is Pink, 3:32 o gli inserti di The Dope) o dal chiarore ambient, e rare distorsioni di chitarra al limite del noise, sample vocali e magnetici bassi alt-rock, suoni eterei e languidi, sprigionati da una sensualità esplicita quanto elegante, e ritmi da dancefloor (v. la title-track), synths da Bristol sound, tempeste di violectra e archi analogici cinematici, preziosi come un piccolo scrigno segreto di poesia.
Così tra pop da camera/baroque pop, musica cinematica e trip hop si muove il brano più “illustre” del lungo corteo di Plagiarism, la liquida e dolorosa Wonderland, con la voce fragile ed emozionante di Astrid Young, mentre è intriso di electro-pop splendidamente oscuro à la Depeche Mode (d’altronde il duo ha collaborato con Alan Wilder e i suoi Recoil) e di alt-dance il singolo Glenn Gould is Alive, con citazione finale di Johnny B. Goode; onirica e delicata come un carillon con pulsazioni elettroniche appare invece Electrocracy.
Da polistrumentisti con solida formazione classica, Materazzo e D’Alberto conducono un sapiente gioco che fonde e filtra accuratamente colori e anime dei suoni, affinché allettino l’ascoltatore, lo avvolgano in un assedio di sensazioni o lo trascinino tra le vertigini del ritmo.
E una manipolazione esperta è anche quella messa in atto nelle due cover: Poker Face, scelta astuta, perde un bel po’ di quel luccichio vuoto da pop volgarmente banale e standardizzato e da plastic glamour (calligraficamente e ironicamente ricalcato nella traccia omonima, che cita proprio il nome di Ms. Germanotta), a favore di un’allure tenebrosa, di un’atmosfera più finemente trasgressiva nel ritmo rallentato e di un cantato tetramente aggressivo, con risultati che fanno pensare quasi a modelli come Trent Reznor o al Marilyn Manson di Sweet Dreams; My Body is a Cage degli Arcade Fire aumenta invece il suo fascino sospeso e si accende di un electro-rock nervoso, ma smarrisce la sua inimitabile imperiosità sacrale.
Le tracce sono tante e non tutte riescono ad esprimere integralmente le peculiarità artistiche del progetto, mantenendosi del tutto distanti da una certa facilità un po’ più commerciale, ma l’idea è di sicuro appeal e, fosse pure nell’alveo del mainstream, rappresenta una linea di avanguardia di grande intensità, densa di lirismo e di classe seducente.
01. In(tro) Air
02. Rome is Pink
03. Madonna Loves Teramo but not the Pop(e)
04. Nice Dream
05. Wonderland
06. Glenn Gould is Alive
07. 3:32
08. My Body is a Cage
09. Plastic Glamour
10. Ex.5
11. Luminol
12. The Dope
13. Poker Face
14. Electrocracy
15. Circle Circus
16. Supernova
17. Plagiarism
18. Outro